Don Nicola Borgo, nelle messe celebrate oggi, ha citato un articolo di Enzo Bianchi, pubblicato sull'ultimo numero della rivista del monastero di Bose.
Pubblichiamo l'articolo che può anche essere scaricato cliccando qui sotto:
https://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-riviste/12820-l-esilio-del-vangelo-dalle-nostre-chiese
L'ESILIO DEL VANGELO DALLE NOSTRE CHIESE
Da: “Vita Pastorale”- Rubrica “Dove va la chiesa”- Febbraio 2019di ENZO BIANCHI
Scrivendo questa riflessione
all'interno del la rubrica "Dove va la Chiesa?", ho la piena
consapevolezza di pubblicare una forte denuncia sulla situazione della comunità
dei cristiani nel nostro Paese. Stiamo, di fatto, vivendo e assistendo a una
mutazione dell'essere cristiani; mutazione che dovrebbe inquietare molto quelli
che "amano Gesù Cristo" e aderiscono al suo Vangelo. Tento, quindi,
di individuare la causa di questa crisi e di leggere le gravi conseguenze che
ne derivano.
Mi riferisco alla marginalità
assunta, in questi ultimi anni, dalla liturgia all'interno della vita
ecclesiale. Non mancano, certo, comunità nelle quali la liturgia è vissuta
intensamente. Ma resta l'impressione che oggi, nella Chiesa italiana, la
liturgia si trovi in un cono d'ombra rispetto a temi ecclesiali ritenuti
centrali come la famiglia, i giovani, l'educazione, i poveri. E, più in
generale, i temi morali e sociali. Anche l'approvazione della nuova edizione
del Messale (in realtà, occorrerebbe parlare di una semplice revisione della
traduzione dei testi), lo scorso novembre, da parte della Cei, è avvenuta in un
clima di disinteresse e mancanza di attesa e di attenzione.
Cos'è successo? Perché questa
stanchezza? Non è facile dare una risposta. Certamente, dopo l'entusiasmo per
la riforma liturgica voluta dal concilio Vaticano II, s'è registrata una
"battaglia liturgica" che non ha giovato, ma anzi ha stancato i
credenti. Occorre, però, anche dire che è subentrata una grande diffidenza
verso ogni rinnovamento liturgico. Al punto da impedire ogni legittima e
autentica creatività, richiesta dalla riforma stessa. Oggi, la liturgia
(peraltro ridotta alla sola celebrazione eucaristica), appare
"ingessata" e poco curata. Quasi non meritasse l'impegno e le energie
dedicate ad altre attività diaconali essenziali, ma generate e plasmate come
evangeliche dalla liturgia stessa. I presbiteri non hanno molto tempo da dedicarvi.
E i fedeli non la sentono più essenziale, non la ritengono più la fonte del
loro agire quotidiano nel mondo. Va detto con franchezza: la sterilità della
comunità cristiana nel produrre e adottare musiche e canti degni della liturgia
cristiana, gli abusi praticati per rendere la liturgia mondanamente attraente e
spettacolare, la sciatteria che non conosce l'ars celebrandi e la necessaria
bellezza dei riti, rendono a volte la liturgia, non più Vangelo celebrato, ma
un insieme di parole e gesti che non genera né fede, né speranza, né carità. E
va riconosciuto: i tradizionalisti che denunciano, con asprezza e polemiche,
introduzioni di stranezze nelle celebrazioni e nell'uso dello spazio liturgico
sovente lo fanno con ragione.
Perché non si ha il coraggio di
dire che alcune formulazioni liturgiche risultano ostiche e, ormai, incapaci di
narrare il Dio di Gesù Cristo? E non è solo questione di linguaggio da
adeguarsi e aggiornarsi, come nella traduzione del Padre nostro (con il «non ci
indurre in tentazione» modificato in «non abbandonarci alla tentazione»), ma di
orazioni e formule che, oggi, sono incapaci di far ardere il cuore di chi le
ascolta o le ripete. Nella vita ecclesiale si registrano scollamenti e anche
vere e proprie contraddizioni tra il linguaggio teologico-pastorale della
catechesi, della predicazione con il linguaggio liturgico di testi che
rispecchiano antichi modi, perlopiù medioevali, di sentire e vivere la
relazione con Dio nella fede e nella preghiera.
Ma cosa si fa perché l'eucaristia domenicale sia qualcosa di vitale, di veramente comunitario, in grado di consentire il riconoscimento reciproco e una vera fraternità per quanti vi partecipano? Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana, ma occorre che questa sia anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all'isolamento dominanti nella nostra società.
Ma cosa si fa perché l'eucaristia domenicale sia qualcosa di vitale, di veramente comunitario, in grado di consentire il riconoscimento reciproco e una vera fraternità per quanti vi partecipano? Ascolto, silenzio, parola, canto, meditazione sono essenziali alla liturgia cristiana, ma occorre che questa sia anche segno di fraternità, gratuità, condivisione, antidoto alla solitudine e all'isolamento dominanti nella nostra società.
Se dunque manca questa centralità
del Vangelo celebrato, se manca la fonte, che cosa ne deriva? Almeno due conseguenze.
La prima è che la liturgia è sempre più evasa dalla maggior parte dei
cristiani, specie i più giovani. Mentre "piccoli greggi" la vivranno
in modo da sentirla solo come un patrimonio da conservare per la loro identità.
Il bisogno postmoderno di conservare e commemorare spinge, purtroppo, a fare
della liturgia del passato un "patrimonio immateriale" che va
conservato.
Così si formano piccoli ghetti
religiosi e liturgici, che si sentono custodi di un museo, non di una
tradizione viva che, come una fonte, può dissetare gli uomini e le donne di
oggi. Una liturgia che è valutata non tanto sulla sua capacità di far ardere il
cuore, quanto sulla sua capacità di apparire solenne e religiosa, fornisce il
senso di un'appartenenza sicura ma superficiale. Se la liturgia non è Vangelo
celebrato, l'esistenza cristiana è ridotta a pratica rituale, che spinge a
vivere senza un vero riferimento alla liturgia stessa, senza la sorgente della
comunione con il Signore.
Ma c'è anche un'altra conseguenza.
Se la liturgia diventa periferica nella vita del cristiano, allora quale
spiritualità si può vivere senza questa fonte? Al riguardo, è significativo
constatare che oggi i cristiani disertano le assemblee liturgiche ma tentano di
vivere sempre di più "le spiritualità", fabbricandosi itinerari
"fai da te". Ci stiamo accorgendo della deriva della spiritualità dei
cristiani? Non è più la spiritualità che si nutriva alle fonti delle Sacre
Scritture o dei padri della Chiesa, ma una spiritualità teista, con un riferimento
al divino, non al Dio di Gesù Cristo. Una spiritualità concepita come etica
terapeutica, tesa al benessere personale, allo stare bene con sé stessi e con
gli altri nel quotidiano. Una spiritualità che dà conforto, ma non sta più
sotto il primato della grazia e della salvezza che solo Dio può dare. È una
spiritualità in cui si ripetono le beatitudini proclamate da Gesù, declinandole
però solo a istanza morale, non come Vangelo, buona notizia...
Ecco, il venir meno della qualità
"fontale" della liturgia nella vita dei cristiani provocherà
debolezza della fede per molti. E fagociterà appartenenze culturali per altri.
Crescerà il numero dei "cattolici del campanile". Cattolici senza
vera appartenenza alla Chiesa eucaristica, anestetizzati nei confronti del Vangelo.
E, sempre di più, altri percorreranno sentieri di spiritualità che ispirano
l'autosalvezza, senza il primato della grazia e senza la dimensione
escatologica.
In queste due possibili derive si
potrebbero comprendere le denunce che papa Francesco ripete contro il
pelagianesimo e lo gnosticismo, oggi riapparsi in nuove forme inedite, ma
sempre ispirate dal rifiuto del primato del Vangelo e del mistero eucaristico,
memoriale della vita, della morte, della risurrezione e della venuta gloriosa
di Cristo, il Signore. Perciò, occorre più che mai una comunità cristiana che
nella liturgia non permette l'esilio del Vangelo dalla vita ecclesiale.
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