• 4 febbraio 2017 _ A Coderno, presso IL RIDOTTO -
ore 15.30-18.00
Incontro
commemorativo del 25° del "DIES
NATALIS" di padre
David m. Turoldo
con riflessioni di don
Nicola Borgo sul suo "Testamento spirituale" e
prima parte della
rappresentazione scenica del suo testo teatrale
"LA MORTE HA PAURA" con l'episodio: "Il vescovo ha paura"
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Vi presentiamo la prima pagina dattiloscritta del testo di padre Turoldo: "PERCHÉ SEI VENUTO SULLA TERRA?" che sara presentato al Ridotto nei prossimi mesi.
È stato scritto nel 1967 ed è di pregante attualità.
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Dal sito del giornalista Roberto Vinco pubblichiamo una delle ultime interviste di padre Turoldo:
IL POETA DI DIO SFIDA LA MORTE
Intervista a Padre Davide Maria Turoldo sul dolore, la malattia, la sofferenza e la morte,
Intervista a Padre Davide Maria Turoldo sul dolore, la malattia, la sofferenza e la morte,
di Roberto
Vinco
Gli avevano dato non più di sei mesi di vita. Lo avevano operato ad un
tumore all’intestino. Dal punto di vista medico non c’era nessuna speranza.
Dopo tre anni, padre David Maria Turoldo, il poeta di Dio, il monaco ribelle ma
fedele, lo abbiamo risentito qualche settimana fa (settembre 1991, vedi
foto) ancora una volta in Arena con i «Beati i costruttori di pace» a
cantare la sua speranza di pace e il suo amore per l’uomo.
Dopo ben tre operazioni, il corpo smagrito, visibilmente stremato dalla
malattia, non ha ancora perso il suo vigore e la sua straordinaria forza e
carica umana. Ha vissuto sempre “fuori
delle mura”, sempre in diaspora, sempre in cammino… in conflitto con il
potere, con le istituzioni, con la Chiesa. La vita di Turoldo è insieme un
canto e un pianto. Il canto di chi crede e il pianto di chi soffre.
A Verona padre David ha molti amici. Come monaco servita è stato ospite per
alcuni mesi della comunità dei Servi di Maria della chiesa cittadina di Santa
Maria della Scala. Proprio con un gruppo di amici veronesi siamo andati a
trovarlo nella sua meravigliosa abbazia di Sant’Egidio a Sotto il Monte in
provincia di Bergamo. É visibilmente stanco, ma quando incontra gli amici,
quasi si ricarica, recupera tutte le sue antiche forze, ritrova tutto il suo
profondo spirito profetico. Della sua malattia parla con serenità. Il suo
tumore lo chiama «Il drago che si è
insediato nel ventre». Con il cancro ha imparato a lottare e a convivere.
«La mia malattia – ci dice – è un’esperienza consapevole, giocata a carte
scoperte. Alle pietose menzogne dei medici ho preferito la verità. In un primo
momento è tremendo, è crudele. Ma accettare il cancro è già metterlo a disagio,
sfidarlo». Da tre anni sfida con il canto e la poesia anche la morte,
accettata con serenità come l’altra faccia della vita.
«Per me la morte è sempre stata come
una fessura attraverso cui guardare i colori della vita, apprezzarne i valori.
La morte è una presenza positiva, fa apprezzare meglio il tempo, fa giudicare
meglio le cose. Ogni mattina dico, se questo è il mio ultimo giorno non posso
perderlo. Vivo ogni giorno, non come fosse l’ultimo, ma il primo. Penso che non
ci sia nemmeno un di qua e un di là, ma semplicemente un prima e un dopo. Una
continuità. Questo certamente è il senso misterioso della nostra fede, ma non è
assolutamente un discorso che si fa soltanto per chi ha fede. Il discorso sulla
continuità della vita, si può farlo anche con chi non crede, con chi non ha
fede. Non è un discorso consolatorio, ma di constatazione. Io posso anche dire
«non so come sarà dopo», ma nessuno mi può dire che non ci sia».
Il tema di tutta la sua poesia è Dio. Un Dio che non è ricerca astratta, ma
ricerca che si coniuga con la vita, con la realtà umana di tutti i giorni. Un
Dio che non ti dà sicurezze e certezze, ma la speranza di guardare sempre
avanti con coraggio. Un Dio che non è lì per controllarti e punirti, ma un Dio
che ti è vicino, ti capisce, ti ascolta, ti ama.
– Ma come si può
conciliare questo Dio con la sofferenza, con la malattia?
«Io penso che il dolore, la malattia,
la morte, non siano soltanto il dramma dell’uomo, ma anche il dramma di Dio».
– In che senso?
«Nel senso che il limite di Dio è la
libertà dell’uomo. Mi spiego. Dio ha un amore tale per l’uomo, per la sua
creatura, che non può non lasciarla libera. Se accettiamo un Dio che vuole che
l’ordine della creazione e della storia abbiano una loro valenza autonoma; se
Dio vuole che gli uomini siano liberi: liberi di usare e di abusare, liberi di
fare il bene o di fare il male, Dio, per primo, deve rispettare questa
autonomia e questa libertà. Perciò se tu vuoi che per ogni caso Dio intervenga,
tu annulli quello che si chiama il gioco delle cause seconde, gli spazi per la
libertà umana».
– Ma allora, secondo
questa logica, a Dio non si può nemmeno chiedere la guarigione.
«Io non penso che sia giusto pregare
perché Dio mi guarisca. Proprio perché è impossibile che Dio abbia a che fare
con la mia malattia. É impensabile che il Dio di Gesù Cristo voglia il cancro.
Se fosse stato veramente Dio a mandarmi il tumore, come potrei curarmi? Dovrei
andare contro la volontà di Dio».
– Allora sbagliano quelli
che pregano perché Dio li guarisca?
«Li posso capire, ma solo a livello
umano. Lo posso ammettere come sfogo necessario, come rimedio all’angoscia. É
stata anche per me una scoperta di questi anni di malattia, una scoperta
terribile, ma consolante».
– E nei momenti di
sconforto, di disperazione, quando si rivolge a Dio, cosa gli dice, cosa gli
chiede?
«Io non prego perché Dio intervenga.
Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. Io prego perché Dio mi dia
la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa
forza di Cristo. Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e
possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose. Infatti se,
diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me,
guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari
è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio? Perché Dio
dovrebbe fare queste preferenze? Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro
non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al
mio vicino? E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine
al libero gioco delle forze e dell’ordine della creazione? Per questo per me
Dio non è mai colpevole. Egli non può e non deve intervenire. Diversamente, se
potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe
sofferenze incredibili e inammissibili. Ecco perché, come dicevo prima, il
dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio».
– Di fronte al dolore
quindi, anche per un credente, ci può essere solo rassegnazione?
«Non rassegnazione, ma pazienza, che
è tutt’altra cosa. Per il credente l’unica risposta al dolore e alla morte è la
resurrezione di Cristo. La sua resurrezione infatti è la vendetta di Dio sul
male del mondo. Quindi la risposta migliore è sempre quella di Cristo, che alla
fine dice: «Padre, nelle tue meni rimetto il mio spirito». Una risposta però da
non dire solo alla fine, ma dirla sempre; e forse così si riuscirà ad essere
perfino “beati nel pianto”».
– Spesso ci si trova di
fronte ad amici colpiti da qualche malattia grave o dalla morte di qualche
persona cara. Cosa si può dire in questi casi?
«Ci sono dolori per cui non esistono
parole in nessun dizionario. Dolori e angosce davanti alle quali la risposta
migliore è il silenzio. Di fronte a certe tragedie, a certe sofferenze non
servono né filosofie, né prediche.E il rimedio migliore, dico rimedio, non
risposta, sarà semplicemente la tua partecipazione di amico, la tua presenza
amorosa, il tuo «essere con» la persona sofferente, l’ammalato. La migliore
risposta pratica quindi è «l’essere con», è il silenzio, l’accettazione per
quanto possibile. Anche se questo non deve significare rinuncia a lottare, a
cercare ogni sforzo per guarire. L’importante è non darsi mai per vinti e
ricominciare ogni volta da capo».
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