In occasione della realizzazione del mosaico dedicato ai 5 emeriti della Sedegliano del 1900 è stato pubblicato un libro.
Pubblichiamo qui solo i testi, scritti da Nicola Borgo e da sei studiosi friulani.
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PIETRE VIVE E NON IMMEMORI
CINQUE EMERITI DELLA SEDEGLIANO DEL 1900
A cura di Giorgio Ganis
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INDICE
1 _ IL PARCO DAVID M. TUROLDO di Nicola
Borgo
2 _ TIZIANO TESSITORI di Gian Paolo Gri
3 _ FEDERICO DE ROCCO di
Luciano Perissinotto
4 _ PLINIO CLABASSI di
Raffaella Beano
5 _ ANGELO MICHELE
PITTANA di Roberto lacovissi
6 _ GILBERTO PRESSACCO di
Mario Banelli
7 _ IL MOSAICO DI JOŽE
CIUHA di Nicola Borgo
8 _ JOŽE CIUHA &
LUCIANO PETRIS di Paolo Coretti
9 _ LA MEDAGLIA di Nicola
Borgo
10 _ PIERO MONASSI
11 _ FONTI
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IL PARCO DAVID M. TUROLDO
Il parco D.M.
Turoldo s’inserisce nella continuità paesaggistica dell’ambiente in mezzo a
terreni coltivati ad ortaggi e ad altri prodotti tradizionali con prevalenza
del mais. A nord, sullo sfondo, si può ammirare la catena delle montagne
friulane; esse suggeriscono un fondo maestoso di possente bellezza e di scorci
singolari soprattutto quando la varietà delle stagioni le arricchisce di
chiaroscuri cangianti e di luminosità abbaglianti. L’uniformità della pianura è
quasi riscattata da questo anfiteatro che incanta e invita a contemplare.
Turoldo
descrive questa sua esperienza di Coderno nella sua poesia e nei suoi saggi,
con accenti emozionanti.
Mi è parso
doveroso far rivivere la sua figura dedicando a lui un angolo di quei
campi che supportavano la civiltà contadina di cui lui nutriva una appassionata
nostalgia perché capace di generare un Friuli e un popolo
severamente operativo, sobrio, dignitoso, custode di valori e di comunione
solidale.
Il parco
ospita delle metafore che evidenziano simbolicamente la sua persona, le
sue scelte, l’attualità del suo messaggio.
La maestà
originaria delle pietre megalitiche e la loro singolare provocazione si
accompagnano a delle scritte, presenti nella sue poesie, che sintetizzano la
sua identità (“Libero e fedele”), chiarificano l’impegno prevalente del
suo vissuto (“Voce di chi non ha voce”), precisano come il mistero di
Dio, ospite della sua interiorità, ispiri ed inviti a concretizzare un
abbraccio universale fra tutti gli uomini (“Ho fatto del mio cuore la Tua
dimora nell’abbraccio del fratello di qualsiasi colore”), a conoscere per
contemplare piuttosto che possedere. E’ nella contemplazione che muoiono gli
stimoli della violenza e sorgono i germogli dell’unità.
Il parco ha
così non solo una funzione paesaggistica, ma richiama ciascun visitatore alla
riflessione, alla responsabilità, a decisioni operative, ad un quotidiano il
più possibile costruito su gesti di comunione aperti ad un futuro alternativo
alla pesantezza del presente.
Le
istituzioni come la famiglia e la scuola nonché il paese, comunità in cui si
vive, sono particolarmente decisive nel favorire una sensibilità capace di
condivisione.
In una
prospettiva che tiene conto dell’ambiente, che in qualche modo ci contiene,
mi è parso importante fare posto in una porzione di terreno a persone che, nate
nei paesi del nostro Comune, hanno lasciato risultati stimolanti, suscettibili
di ulteriore sviluppo, nei diversi campi operativi socio-economici, storici,
letterari, artistici.
Essi in
qualche modo sono turoldiani, appartengono a quel patrimonio di valori
che Turoldo ha testimoniato e che si ritengono necessari anche per il tempo
presente.
Essi sono un
segno della vitalità della Comunità civile e religiosa del Sedeglianese.
Questi
ambiti, spesso di ampi orizzonti, ripresi, approfonditi, rivisitati nella loro
potenzialità attuativa possono generare specifici gruppi di studio ed
offrire occasioni di creatività operativa nei nostri paesi coinvolgendo
soprattutto le generazioni che crescono e che tendono ad abbandonare il luogo
d’origine per residenze reputate più rispondenti al mondo contemporaneo.
Il parco così
concepito e vissuto può essere un riferimento che permette alle piccole
comunità una continuità qualitativa.
Nicola Borgo
E’ TEMPO, AMICO
Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
…
e ci salvi la Bellezza.
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...
Io
voglio sapere
se
l'uomo cresce
se
c'è un altro avvenire
se
la scienza non sia la morte
e
la sua macchina non sia la nostra
bara
d'acciaio.
...
TIZIANO TESSITORI
Sedegliano (UD) _ 13 gennaio 1895
Udine
_ 19 aprile 1973
AVVOCATO POLITICO
STORICO
Quando Tiziano Tessitori nasce, nel 1895, i gravi problemi
dell'ltalia postunitaria investono ormai in maniera drammatica anche i paesi
friulani, in particolare quelli aridi e poveri (allora) dell'area settentrionale del mandamento di Codroipo.
Tessitori sperimenta presto i riflessi del centralismo
statale e l'esosità del sistema di tassazione che colpiva la piccola proprietà,
la mancanza di interventi capaci di incidere sulle condizioni delle classi
popolari, i riflessi della prima industrializzazione che in Friuli significò
soprattutto sfruttamento della manodopera femminile nel settore tessile, la
conflittualità sempre più accentuata fra grandi proprietari agrari e coloni
(braccianti e mezzadri), il pauperismo diffuso, un'emigrazione che si andava
trasformando in emorragia demografica.
Anche Sedegliano stava sperimentando nel suo piccolo il
conflitto fra stato e chiesa, fra una classe dirigente liberale anticlericale,
sempre più conservatrice - il sindaco Bernardino Berghinz - e un clero
locale - il parroco don Antonio Sbaiz -
che si metteva alla testa di un rinnovato impegno del mondo cattolico sul piano
sociale e politico, superando anche le diffidenze della gerarchia, vicino a una
popolazione ancorata in maniera forte alla tradizione
cattolica, non conquistata dal socialismo che avanzava in
altre aree come movimento di massa.
In questo contesto Tessitori matura la sua esperienza
culturale, il profilo della sua religiosità, il suo impegno sociale e politico.
L'arco della sua biografia diventa presto riflesso interessante dei processi di
trasformazione del mondo cattolico in Friuli, con le sue coerenze profonde, le
contraddizioni, i suoi conflitti esterni e interni.
Entra bambino in seminario e lì si forma negli anni in cui
il nuovo papato di Pio X, appoggiato dall'ala più tradizionalista del mondo
cattolico, con l'accusa di modernismo stronca anche a Udine i fermenti del
rinnovamento culturale coltivato da alcuni giovani insegnanti del seminario.
Con gli stimatissimi don Giuseppe Ellero e mons. Pio Paschini, conosciuti nei
giorni dell'amarezza e del compromesso cui furono costretti dalla gerarchia,
Tessitori resta in rapporti cordali di stima, amicizia e collaborazione.
Nel 1915, con l'entrata in guerra dell'Italia, abbandona
il seminario e viene richiamato alle armi. Presta servizio presso Ia sezione di
Gemona del Tribunale militare. Esce dall'esercito, giovane ufficiale, nel 1919.
Già segnalatosi come collaboratore attivo della stampa cattolica, viene
cooptato dal gruppo che sta consolidando il movimento politico dei cattolici,
in contrapposizione al vecchio partito liberale della borghesia e al nuovo
partito socialista, radicando anche in Friuli il neonato Partito popolare e il
movimento delle Leghe bianche. Nel panorama desolante del Friuli sconvolto
dalla Grande Guerra, con l'economia distrutta e le tensioni sociali sempre più
acute, Tessitori - oratore e giornalista efficace - assume presto, in un clima
politico incandescente, responsabilità organizzative di primo piano nel
movimento cooperativo e sindacale cattolico, facendosi portavoce e leader delle
rivendicazioni del mondo contadino a favore di una riforma profonda dei patti
agrari; diventa presidente dell'Unione provinciale del lavoro. Nelle elezioni
del 1921, a 26 anni, viene eletto deputato nel Partito popolare di don Sturzo,
ma non può entrare in Parlamento a causa della mancata riforma della vecchia
legge elettorale che poneva la soglia di eleggibilità a 30 anni.
Il clima
sociale sempre più teso e i moti di protesta suscitano allarme e provocano una
forte reazione. Si delinea in Italia e in Friuli l'alleanza fra il fronte della
grande proprietà agraria e del capitalismo industriale e il movimento dei fasci
che ha il suo terreno di coltura, anche violento, nell'insoddisfazione dei
reduci. Anche nel mondo cattolico si fa evidente la frattura fra la cosiddetta
«ala sindacale» , vicina ai bisogni del mondo contadino più povero, e l'ala
moderata. Lo stesso Partito popolare si divide fra i fautori dell'alleanza con
il movimento socialista e i sostenitori invece della collaborazione con il
partito fascista. Prevale questo secondo fronte; ha il sostegno della curia
udinese e del vescovo mons. Anastasio Rossi, in lineacon la politica della
curia romana poco interessata ai problemi sociali, molto di più a cercare
alleanze per risolvere il conflitto istituzionale fra Vaticano e stato italiano.
È la linea di avvicinamento della chiesa ufficiale al fascismo: porterà alla
liquidazione del Partito popolare e al Concordato del 1929.
Tessitori è nella morsa di questo conflitto. Nel 1923 si
allinea alla posizione della curia udinese, si dimette dal Partito popolare,
appoggia la scelta di alleanza con il partito fascista, entra nel consiglio
della nuova amministrazione provinciale di Udine che si costituisce inglobando
Gorizia e il territorio goriziano. Ma il suo passato d'impegno a fianco del movimento
di rivendicazione dei contadini non convince la nuova classe dirigente, e nel
1924 Tessitori abbandona l'attività politica. Sono anni di lavoro più defilato:
la laurea, l'apertura dello studio di
avvocato penalista a Udine, la cura della professione; l'iniziativa interna al
mondo cattolico, dopo l'arrivo di mons. Nogara soprattutto, nell'organizzazione
dell'Azione cattolica e del movimento dei laureati cattolici; la ricerca
storica, le conferenze, l'attività giornalistica e letteraria dedicata in particolare,
sulla scia dell'amato don Ellero, alla rievocazione della prima cristianità.
L'impegno politico riemerge nell'immediato dopoguerra.
Nell'estate del 1945, riprendendo un'ispirazione presente nel primo Partito
popolare, fonda e anima l'Associazione per l'autonomia del Friuli. Coagula
intorno a sé, anche in contrasto con i partiti della nuova Italia presenti nel
Comitato di liberazione nazionale (la Democrazia cristiana, il partito
comunista, quello socialista; non quello repubblicano, legato invece
tradizionalmente all'idea federalista di stato), un vivace movimento
intellettuale interessato a un modello non centralistico di stato, fondato su
una larga autonomia amministrativa e legislativa delle regioni e al
riconoscimento anche sul piano politico delle peculiarità storiche, culturali,
geografiche, etnolinguistiche del Friuli. Il primo obiettivo, accanto alla
valorizzazione di queste specificità, è il riconoscimento del Friuli come
regione autonoma, non inglobata dentro il generico "Veneto" o
"Triveneto" dell'età precedente. Il dibattito è forte, l'Associazione
diventa Movimento popolare friulano per l'autonomia regionale, intenso è il
lavoro per erodere l'atteggiamento di rifiuto dei partiti maggiori in Friuli e
a Roma, dominati da preoccupazioni di politica internazionale riferite alla
delicata questione del confine orientale, dei rapporti fra Italia e Jugoslavia,
al problema di Trieste e Istria.
Nelle elezioni del 1946 Tessitori viene eletto deputato
nelle file della Democrazia cristiana. Avvia nell'ambito della Costituente la
battaglia autonomistica per l'inserimento del Friuli nell'elenco delle nuove
regioni e in quello delle regioni a statuto
speciale, in particolare. Il
peso della questione
internazionale relativa al confine orientale e allo status
di Trieste, la situazione sempre più tesa che sta portando all'esodo della
popolazione italiana di Istria e Dalmazia, obbligano Tessitori al compromesso
che vede l'aggregazione al Friuli dei territori della cosiddetta "zona
A". Il 27 giugno 1947 l'Assemblea costituente approva l'art. 108: nella
Carta costituzionale della nuova Italia il Friuli-Venezia Giulia è regione a
statuto speciale. Battaglia non conclusa: sarà effettivamente e operativamente
tale solo nel 1964.
Figura prestigiosa del mondo politico cattolico,
l'attività parlamentare non resta però l'unico campo d'impegno di Tessitori -
si vedano i Discorsi parlamentari editi nel 1967 - nell'ultima parte
della vita. Negli anni Sessanta trova esito editoriale definitivo anche la sua
attività di ricerca sulla storia religiosa del primissimo cristianesimo,
riletta alla luce delle sue competenze giuridiche, e sulla storia politica e
delle idee in Friuli; in particolare: Cristo:
processo, condanna, resurrezione (1963) e San Paolo (1969); la Storia
del movimento cattolico in Friuli: 1858-1917 (1963), e II Friuli nel 1866, Uomini e problemi (1966).
Gian Paolo Gri
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Ma del canto del corpo almeno,
della
danza dei corpi in mezzo
alle
vigne, Signore,
mi
sia dato di renderti
particolari
castissime
grazie:
cattedrale
delle feste
sono
le nozze, il corpo
reggia
dell'amore.
FEDERICO
DE ROCCO
Turrida
di Sedegliano (UD) _ 2 ottobre 1918
San
Vito al Tagliamento (PN) _ 27 settembre 1962
PITTORE
INCISORE SCRITTORE
Il tracciato biografico di
Federico De Rocco colloca i propri terminali geografici fra Turrida, S. Vito al
Tagliamento e Venezia. Nato nella frazione di Sedegliano nel 1918, nel '34
risulta iscritto al Liceo Artistico della città lagunare. Conseguito il
diploma, prosegue gli studi frequentando il corso di decorazione, tenuto da
Bruno Saetti, presso la locale Accademia.
Causa le interruzioni imposte
dalla guerra, Federico conclude il corso accademico solo nel '46. Nello stesso
anno fa già parte del corpo docente dell'Istituto statale d'Arte dei Carmini,
dove assolverà compiti didattici fino al '62, anno della sua morte.
La vita di Federico De Rocco fu,
quindi, breve e travagliata: breve perché si spense a soli 44 anni; travagliata
perché i disagi economici della famiglia gli imposero sacrifici che non si
allentarono neppure quando si trasferì a Venezia. Anzi l'impatto con la città
lagunare, dorata ed artisticamente eloquente, g1i fu piuttosto disagevole sotto
il profilo culturale: essa infatti si crogiolava sull’anacronistica eredità del
passato, osteggiando le voci che si levavano da più parti per dare visibilità a
quei cambiamenti
culturali che si proponevano di correlare l'arte alla vita, soprattutto al
dinamismo della modernità, e che trovavano conforto nella positività della
ricerca scientifica e nell'ideologia.
La guerra '44\'45 fece
momentaneamente archiviare tante domande\risposte che sarebbero giunte preziose
e tonificanti per una personalità in formazione come quella di Federico. Alla
guerra fecero seguitogli anni della “ricostruzione”, percepiti con sentimento
di nostalgia per l'identità friulana, in cui stavano modificandosi inveterate
consuetudini di lavoro e di vita comunitaria. Onesto e generoso, ma chiuso di
carattere, egli consegnava alle tele le
difficoltà a far proprio un discorso emancipato dai dettami accademici e
soprattutto dai dilaganti schemi ideologici. Di quegli anni ricordava con
gratitudine le ricerche sul colore che il maestro Saetti condivideva solo con
quegli allievi di cui aveva modo di apprezzare particolari talenti: non più il
colore trasfigurante, intriso di luce dorata, proprio della pittura veneziana,
ma un colore asciutto, quasi da affresco, che costruiva l'immagine e consegnava
il proprio messaggio al primo piano, al dialogo diretto con la quotidianità,
dialogo che rifletteva la visione essenziale e tormentata di Federico, mai
disposta ad indulgere sul piano del compiacimento estetico.
Le problematiche motivanti le
espressioni di più netta rottura con il passato
gli erano note.
Note sì, ma
non lo coinvolgevano, quasi
fossero troppo complesse,
artificiose, fuorvianti, effimere: esse lo avrebbero costretto a barattare
quell'identità che sentiva essergli connaturata, fatta di onestà e sacrificio
consumato per non tradire un percorso di vita che rimaneva, immutabile, a
definire il suo stesso orizzonte poetico.
A Federico mancò il tempo per
vivere I'epilogo del1a civiltà contadina, i cui valori sentiva congeniti: i
suoi temi preferiti erano, infatti, personaggi dediti all'attività agricola o
artigianale, oltre a personaggi che confermavano il suo amore per la terra
d'origine.
Perciò la sua opera, inserita ai
margini delle dominanti tesi contestatrici, non è adeguatamente considerata nei
manuali di storia dell'arte. Il suo linguaggio riflette la probità e la
sincerità – troppo limpida per i tempi moderni – di una interiorità che non
riesce a condividere le ragioni delle elaborazioni estranee al modo di
concepire semplice e schietto della sua natura friulana.
Onestà intellettuale che non
mancò di esercitare un positivo stimolo sulla sua immaginazione e, assai
probabilmente, sul suo stesso equilibrio emotivo, forgiato su una pennellata
che visualizzava ciò che gli era suggerito dal cuore.
Parlare di Federico De Rocco non
porta, tanto a ricordare la voce di un'artista che con tanta dignità si è
espresso nell'arte pittorica quanto a considerare l'espressione di un
personaggio di impervio approccio caratteriale, ma emblematico di un robusto e
macerato rapporto con la storia della sua terra. Questo gli ha consentito di
emanciparsi dall'anonimato con la caparbietà propria di chi sa dare un senso
anche alle difficoltà della vita, trovando nell'immediatezza del disegno e
nella sapidità del colore il riscontro espressivo che 1o ha portato a tradurre
in arte la sua nostalgia verso un mondo in declino, ma cui era doveroso
riservare una voce di intima memoria.
Luciano
Perissinotto
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Oppure
cantare, solamente
Cantare!
dire che sei Tu
il
segno sconosciuto dell cose,
questa
nostra coscienza:
amore
calato nei nostri amori
voce
del vento, e il silenzio
che
fascia le galassie,
o
improvviso, rapito gemito
di
fronde sul limitare
appena
della selva.
PLINIO
CLABASSI
Gradisca di Sedegliano (UD) _ 22 marzo 1920
San Vito al Tagliamento (PN) _ 22 ottobre 1984
CANTANTE LIRICO
Plinio
Clabassi, basso versatile, la cui voce ha affascinato, per la signorilità e
l'estensione, le platee dei maggiori teatri italiani e stranieri, ha ricoperto
oltre centocinquanta ruoli in un repertorio che spazia dal Sei-Settecento fino
agli autori a lui contemporanei.
Il suo
stile inconfondibile, evidenziato dal timbro pastoso e suadente, crea, con il
gesto e l'alta figura, personaggi difficilmente eguagliabili.
Anche
i genitori Michele e Rosa Masotti, insieme agli altri tre figli, amavano la
musica e favorirono i suoi studi di scuola superiore. Poi, per la guerra, venne
assegnato al Primo Reggimento Granatieri di Sardegna. Nel febbraio del 1941 è a
Valona e sul fronte greco-albanese subisce il congelamento dei piedi. Dopo
l'armistizio, Clabassi entra nella Resistenza, è tra i prigionieri nelle
carceri di Via Tasso a Roma, luogo di tortura e morte. Queste esperienze ne
forgiano il carattere, dandogli la forza, al termine del conflitto, di
ritornare a Roma per studiare canto, supportato anche dallo zio sacerdote che
ne intuisce le doti. Nella capitale si distingue in concerti nei campi dei
profughi istriani, fiumani e dalmati sin dal luglio del 1945, anche al fianco
di Beniamino Gigli e, due anni dopo, giunge al primo teatro importante, il
Petruzzelli di Bari, interpretando il ruolo di Grenvil ne La Traviata di
Giuseppe Verdi. Da qui l'ascesa è rapida: in breve lo si ritrova all'Opera di
Roma, a Palermo, al Teatro San Carlo di Napoli, e in Australia, Sud Africa,
Brasile, Stati Uniti e Irlanda.
Con
Gigli si crea un sodalizio artistico.
Una
scelta coraggiosa, la lirica, per un uomo che proviene da una provincia priva
di tradizione teatrale, ma legata al fiorire di corali, come quella di Gradisca
a cui Clabassi partecipa. Il Friuli è terra dalle grandi voci forse nate quando
si sentiva cantare nei cortili, al rientro dai campi, nella melodia che si
allontana nella sera del dì di festa, secondo le tradizioni che i nostri padri
hanno coltivato con la preghiera, proprio come scriveva padre David Maria
Turoldo: “il canto è novità, è speranza”.
In
città, a Udine, c'era la scuola di musica, poi Conservatorio “Jacopo Tomadini”
che formava ottimi insegnanti e strumentisti di valore. Contemporaneamente al
Teatro Puccini si davano le operette, mentre l'Opera Nazionale Dopolavoro
organizzava il “Carro di Tespi” in giro in regione. Erano anni in cui si
moltiplicavano i locali da ballo e suonavano le orchestrine, mentre a livello
nazionale, sin dal 1938, l'Eiar creava un programma musicale radiofonico per le
scolaresche che così si avvicinavano all'opera.
Il
basso di Gradisca è tra i numerosi friulani che brillano nell'universo della
lirica internazionale e, limitando al raggio di pochi chilometri dal paese
natio, ricordiamo tra gli altri il basso Alfredo Mariotti, il soprano Disma De
Cecco, che sposerà Nicola Benois, per cinquant'anni scenografo del Teatro alla
Scala di Milano.
Nel
frattempo in tutte le case c'è la radio e muove i primi passi la televisione,
così Clabassi collabora con la Rai, favorito anche dalla sua presenza scenica,
andando sugli schermi televisivi in cast straordinari, come ne Il Trovatore che
registra insieme a Mario Del Monaco, Leyla Gencer, Ettore Bastianini e Fedora
Barbieri, guidati dal M° Fernando Previtali. L'Ente radiofonico propone inoltre
le composizioni degli autori contemporanei tra cui Franco Alfano, Alfredo
Casella, Paul Hindemith, Ildebrado Pizzetti, Licinio Refice, Ottorino Respighi e
i triestini Giulio Viozzi e Mario Zafred. Clabassi ne è sempre protagonista,
dimostrando una predilezione anche per la sperimentazione musicale
d'avanguardia.
Il suo portamento nobile e il tono profondo vengono notati anche dal
regista Roberto Rossellini che lo fa lavorare nel film “Giovanna D'Arco al
rogo”, protagonista la bellissima Ingrid Bergman.
I sistemi di registrazione audio e video, poco sviluppati, non offrono la
giusta popolarità al cantante. Tuttavia esistono alcuni significativi dischi in
vinile e video oggi disponibili anche in rete, di facile fruizione.
La sua
vocalità è invidiata e risulta sempre intensa, passando dal genere brillante a
quello drammatico, dalla canzone alla romanza e allo spiritual, preferito dai
più famosi direttori
d’orchestra
quali Franco Capuana, Oliviero De Fabritiis, Carlo Maria Giulini, Herbert von
Karajan, Tullio Serafin e molti altri.
Sul
palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano, nel 1957, Maria Callas canta
nell' Anna Bolena, con Giulietta Simionato, Nicola Rossi Lemeni e Gianni
Raimondi, diretti da Gianadrea Gavazzeni, scene di Nicola Benois, regia di
Luchino Visconti. Clabassi è con loro, scelto per il ruolo di Rochefort.
Nel
celebre teatro milanese il basso si esibisce, ancora con la divina Callas, prima
ne La forza del destino (Il marchese di Calatrava) e successivamente ne
Il Pirata (Goffredo) di Vincenzo Bellini insieme a Franco Corelli ed Ettore
Bastianini, con la direzione di Antonino Votto. In altra occasione il pittore
Renato Guttuso, ammirato per l'interpretazione, gli dedicherà un bozzetto per
il costume di scena.
Nei
primi anni ’70, Clabassi ritorna al suo amato Friuli, nella natia Gradisca di
Sedegliano. Qui aveva sempre mantenuto vivi i contatti con i suoi conterranei
che l'avevano ascoltato in alcune occasioni, anche in un recital
organizzato da don Gilberto Pressacco per la restaurata chiesa del paese, dopo
l'incendio della sacrestia.
L'inaugurazione e la dedicazione del Teatro Plinio Clabassi di
Sedegliano, avvenuta il 19 maggio 2012, sono un doveroso omaggio della sua
terra natale e della sua gente, a un artista che non temeva confronti, amato e
stimato dai colleghi, come sottolinea la cognata Lella Cuberli, soprano di
fama internazionale.
Raffaella
Beano
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... anche noi grandi come
Dio,
come il cuore di Dio
in cui palpita ogni
creatura,
una ad una,
e che tutto contiene.
Così saremo certi di non
esaurirci mai.
ANGELO
MICHELE PITTANA
Agnul
di Spere
Sedegliano
(UD) _ 22 agosto 1930
Codroipo
(UD) _ 11 gennaio 2005
INGEGNERE SCRITTORE
POETA
Cetant prime
di cognossilu di persone, lu vevi cognossût par vie dai sei articui publicâts
sul sfuei "Patrie dal FriûI", che si stampave a Bellinzona, in
Svissare, dulà che al faseve il so mistîr di progjetist di stradis e di
feroviis. Daspò, cuant che al tornà in Friùl, o scomençarin lis nestris
frecuentazions prime dentri intal Moviment Friûl, e po daspò in tantis ocasions
dulà che si fevelave di culture, di leterature e di lenghe dal Friûl. Al jere
un om infogonât di passion pal Friûl; lui, inzignîr, om di grande sensibilitât
culturâl, al veve vût un don cetant grant: chel de poesie, e une passion antant
grande: chê pes traduzions, che tantis a'ndi à fatis che al è scuasit impussibil
di ricuardâ. E par me, Agnul al è stât un amì particolâr, un compagn di strade
e di passions comunis che o vin zuiadis fin a pôc tim che al las a stâ in cîl.
A mi mancje,
e ancjemò di plui a mi mancje cumò che cetancj di lôr che a condividevin un afiet
sincêr pal Friûl, a son lâts vie, e la lôr lezion di vite e di culture e riscje
di restâ tal scûr. Ma i siei voi e la sô vos, chei no puès dismenteâju, come
lis tantis tabaiadis che o vin fatis, e par oris, cjapâts par un sium di
identitât che forsit al jere ancje masse romantic. Po lis leturis di Agnul: lui
a mi mandave i siei lavôrs, ma cence domandâmi nuie, forsit dome par condividi
cun me lis sôs esperiencis, ma jo no podevi fâ di mancul che butà jù cualchi
articul, e lui chest lu veve simpri agrât. Jo, ogni volte o restavi smaraveât:
la Semantiche dal flaut, cun la sô dediche, o torni dispès a leile,
racuelte cussì meditade, cui trats za madûrs di une vene poetiche parone
adimplen dal strument lenghistic che tai siei viers si slargjave a racuei mîl
inceis, mîl invenzions, e dulà che za si olmave Ia strade di un impegn totâl pe
rivendicazion dal dirit des minorancis di lenghe di podê fevelâ tes 1ôr
lenghis, che lui al clamave la "lenghemari dai puars", ma che, ancje
tes sôs tantis traduzions, e deventave une lenghe siore, cetant insiorade e a
voltis parfin fatâl.
E tant al à
fat, Agnul, par meti a confront, par messedâ, intun ecumenisim lenghistic,
chestis lenghis, di voltâ par furlan poetis come il spagnul Neruda, i ocitans
Roqueta e Manti, i romançs Peer e Famos, il catalan Raimon, il sard Fais e il
basc Lertxudi, promovint une contaminazion che e à insioradis dutis chestis
lenghis, e massime
il furlan;
nus à fat scuvierzi un patrimoni lessicâl, ancje inovatîf, che la normalizazion
atuâl e sta distudant e uniformant. Lu ricuardi ancje om di une fede gjienuine,
che al à voltât "Lis mês gnots cun Qohelet" di Turoldo, e par
chest lu saludi cuntun viers de "Me piçule Deide", dulà che o
cjati une sperance comune: "Riduçant, o olsi a dîti, o muart, che no tu
esistis".
Roberto lacovissi
6______________________________________
Amici, mi sento
un
tino bollente
di
mosto dopo
felice
vendemmia:
in
attesa del travaso.
Già
potata è la vite
per
nuova primavere.
GILBERTO
PRESSACCO
Turrida
di Sedegliano (UD) _ 19 settembre 1945
Udine
_ 17 settembre 1997
SACERDOTE MUSICISTA
RUSTICITAS ANTITETICA _ I cinquantadue anni della vita
di Gilberto Pressacco si iscrivono nel segno di un febbrile galoppo, di una
cosciente, intensa, finalizzata combustione di sé, in polare antitesi con la
prima, paciosa apparenza della sua corporeità.
Nel contenere il debordo di un
temperamento tumultuoso - dalle giovanili pulsioni di egalitarismo radicale
fino al tratto adulto d'illuminato despotismo relazionale - , nell'urgenza di
dare forma a quell'ideale sigillo da conferire alla propria terra quale legato
di un'individualità speciale, assetato di senso ultimo e di ragioni essenziali
e orripilato dalle banalità a tal segno che nell'inveire si concedeva provocatorie
parzialità o visceralità estreme, in diuturna ricerca di una originale weltanschauung,
coerente e significante, per il cui pertinace perseguimento talvolta pagò
tributo in approssimazione o nel tratteggio appena soffuso, temperando
razionalmente affettività e pulsioni assolute, tutto relativizzando sotto la
lente del disincanto, da subito e per sempre confessò nella Resurrezione
l'unico estremo argine per un redde rationem collettivo e personale.
Giovanissimo prete fu inviato a
Codroipo, vi risiedette per non più di tre anni e fu (anche) codroipese, per
sempre. Non gli piacque l'anima del paese, ne osteggiò il tratto ciarliero,
emporiale, levantino; contestò il suo abito mercantile, quando si faceva
superficiale e indifferente ai valori, si sforzò tuttavia di amarlo, come
accade agli adulti nel farsi carico di rapporti ineludibili.
Nei contorni del suo
vagheggiato ideal-tipo friulano rusticus, lo storico stereotipo
codroipolitano non poteva che collocarsi agli antipodi. Riservò tuttavia a quel
paese una fedeltà esigente, insofferente del facile consenso e
delle tiepidezze perbeniste, dissacratoria, deliberatamente contraddittoria,
profonda, seppure non richiesta. In ciò delineando un personale paradigma
comportamentale.
Rapito dal fuoco dell'indagine
onnivora e rabdomantica, pur riconoscendosi incline alla ricerca, si studiò di
farsi carico del cilicio di una pastorale parrocchiale, anche come
personale ancoraggio emendativo delle astrazioni e degli assoluti speculativi.
Da uomo nella Chiesa diffidò
delle Opere, ne riconobbe la caducità, decrittò la loro corruttibilità e
decadenza, ne rifuggì perciò la programmazione, paventando il discredito che
esse inducono, alfine, sul pensiero che le ha generate.
Dell'opera di Pressacco altri
hanno detto diffusamente. La verità di Gilberto, il suo fascino sta nell'arco
del suo itinerario di indagine culturale ed esistenziale, eco teorica della
sete fondativo e paragenetico, in base
a cui la nobiltà vera risiede nella rusticitas dell'απλοτης:
irripetibile e convincente crogiolo di affabulazione etnica, chiaroveggenza
culturale e politica, fascinazione umana.
Nel vivere forse un rapporto di
paternità affidataria, a beneficio delle comunità cui si riferì, aderendo alla
propria passione musicale, Gilberto Pressacco fondò e crebbe alcuni cori;
rispondendo ad una vocazione speculativa travolgente, avviò cenacoli di
riflessione teologica; travolto da una furibonda sete di conoscenza, il suo ethos
contagiò, con l'esito originale dei suoi studi, commensali e uditori rapiti;
riconoscendone lo scopo positivo, offrì nerbo contenutistico a sodalizi
culturali e università popolari di differenti età; soddisfacendo un dovere
civico, ispirò gli uomini e lo stile di progetti e forum.
Vocato in modo individuale e
temperamentale al magistero e al patriarcato, costituì una Scuola,
senza nome né pareti, alla quale fanno ancora riferimento molti uomini e donne
che da essa trassero interattivamente ammaestramenti differenziati e
personalizzati.
Le autorità decisero
significativamente di intitolare a suo nome una importante biblioteca comunale
e di sostenere una associazione che custodisce il suo cognome e il suo
messaggio.
Mario Banelli
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Viviamo il Sogno
eterno
per cui «omnis
creatura ingemiscit»:
la fusione
dell'Essere:
prodigio estremo
della Ruah
che «cova» sulle
scogliere delle origini.
IL MOSAICO DI JOŽE CIUHA
Il parco ospita una tavolozza
musiva nata dalla fantasia creativa di Jože Ciucha, pittore sloveno di fama
internazionale, e
realizzata dal maestro mosaicista Luciano Petris che lo accompagna con
intuizioni compositive di rilievo.
Nella opera di Ciuha alcuni
scorgono "un viaggio dell'anima dentro le profondità inesplorate del
reale". Di
fatto è una sofferta quanto non convenzionale raffigurazione tra astratto e
figurale, caratterizzata
da fascinazioni evocative e da febbrili investigazioni nel tentativo di
cogliere un reale comunque trasfigurato.
Le persone
che proponiamo come significative per il loro vissuto e la loro testimonianza possono trovare ospitalità in questa metafora musiva.
La composizione si caratterizza
per la presenza in qualche modo pesante di cinque "fondi" che si
frantumano positivamente in una comune convergenza. Su questi "fondi" per nulla
statici, ma progettualmente dinamici, si snoda l'indicazione dei personaggi.
Essi sono colti non tanto nella
singolarità riduttivamente fattuale, quanto invece in un orizzonte ideale aperto a futuri sazianti
ma nel contempo sono accompagnati dalla dura
esperienza dei limiti connaturali alle possibilità umane. Desiderio di
compiutezza ed esperienza dei limiti non paralizzano la volontà di mettere
insieme le singole conquiste, ma stimolano efficacemente a nuove prove,
superando le comuni convenzioni per un approccio alla realtà non più posseduta
ma contemplata. Il mosaico è dominato quasi da un chiarore che diventa metafora qualitativa di intensa suggestione,
dove speranza e futuro sono indicazioni di un riscatto.
Ce lo ricorda padre David: "e ci salvi la Bellezza".
Nicola Borgo
Sempre sul ciglio dei due abissi
tu devi camminare e non sapere
quale seduzione,
se del Nulla o del Tutto,
ti abbatterà…
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JOŽE CIUHA
Trbovlje
( Slovenia) _ 26 aprile 1924
PITTORE
GRAFICO SCRITTORE
LUCIANO PETRIS
Pozzo
di Codroipo (UD) _ 24 marzo 1951
ARTIGIANO
MOSAICISTA
Camminavano
quattro o cinque passi davanti a me, sul marciapiede in cemento che conduce
alla gostilna di Figovec.
A
Ljubljana, quel giorno, la giornata era nuvolosa ma chiara e a me piaceva
guardarli camminare in quella coda di inverno che era ancora d’argento ma che,
allo stesso tempo, si era appena intiepidita.
Entrambi di
corporatura asciutta, quasi minuta, così affiancati e ben distinti da quel
chiarore mattutino, erano parte di un piacevole disegno da apprezzare in
controluce. Colui che era più avanti negli anni, solo di poco incerto nel
camminare, si aiutava con un bastone sottile e conversando, e allargando di frequente
le braccia, si rivolgeva al più giovane il quale, stringendo con una mano il
polso dell’altra mano e tenendole entrambe dietro la schiena, procedeva con la
deferenza dell’allievo nei confronti del maestro senza piegare però il capo in
segno di timidezza o per qualche forma di comprensibile sudditanza.
Eravamo
appena usciti dallo studio di Jože dove un grande plexiglass, appeso al
soffitto della stanza più grande e non del tutto dipinto, divideva l’aria e,
dondolando, segnava il confine tra il sogno e la sua fantastica
rappresentazione. E proprio lì - complice il dondolio, che libera da ogni paura
- Luciano aveva lanciato il tema della nuova opera, opera che Jože avrebbe
potuto immaginare, e poi dipingere sulle fragili carte, e poi ancora condividere
con Luciano il quale, come mille altre volte, l’avrebbe interpretata e
trasformata in mosaico perenne.
La
conversazione continuò nella gostilna e io, questa volta seduto davanti
a loro, ascoltavo distrattamente i loro discorsi, spesso fatti di concetti appena
abbozzati, di frasi piene di incisi e alquanto disordinate, di opinioni che, da
prima concordi, improvvisamente, scoppiettavano e si mostravano tra loro in
contrasto. Per me, più che ascoltare, era interessante guardarli in quella fase
che si avvicinava al momento della pura creatività, momento senz’altro
misterioso, a tratti concitato e, di tanto in tanto, invece, interrotto da una
strana e preoccupante quiete.
I due
artisti erano tra loro senz’altro diversi. Jože, chiaro nell’incarnato, con i
capelli bianchi elegantemente ondulati e con i tratti del volto segnati da un
raro equilibrio, metteva in contrasto l’energico ed ottimistico colore ciliegia
del suo maglione con il sorriso lieve e velato di malinconia delle genti che
vivono tra i fiumi della Mitteleuropa. Luciano, invece, come di consueto
vestito di nero, nonostante l’austerità del colore non riusciva a spegnere la
puntuta ironia che si sprigionava dai suoi occhi, anch’essi neri, di carnico
trapiantato da non troppo tempo nella piatta pianura friulana.
Fu dopo
alcuni silenzi, trafitti da occhiate inquiete, che Jože incominciò a tracciare
sul suo quaderno le figure dei cinque personaggi che avrebbe dovuto
rappresentare. Rivolti uno verso l’altro. Come fossero anch’essi, come eravamo
noi, attorno ad una tavola, protagonisti di un lieto convivio. E anche come se
i loro sguardi fossero rivolti e, di conseguenza, attratti dallo stesso luogo,
dallo stesso territorio, dallo stesso cielo nel quale campeggiava il medesimo
sole. E ciascuno dei personaggi, poi, veniva rappresentato con i segni della
propria arte e con le ferite ancora vivide o inascoltate della trascorsa vita.
E più Jože procedeva ad incidere la carta, più la raffigurazione diventava
ricca di colori e di spunti: una felice narrazione, favolistica ma anche epica.
Celebrativa ma, nel contempo, piena di umanità. Una sorta di festa, insomma, di
amicizia, di arte, di musica e di poesia.
Dopo
qualche settimana dallo slivovitz di quel giorno (ogni volta che mi reco da
Figovec, devo assaggiarne un po’) incontrai Luciano nel suo laboratorio di
Codroipo. L’opera stava crescendo e Luciano, con la sua solita preoccupazione,
che lo portava ad essere pensoso fino ad estraniarsi o ansioso al punto da
risultare indeciso, affrontava ogni tessera del mosaico con irrinunciabile
impegno, stabilendone la forma, realizzandone la sagoma con sapienti colpi di
martellina sul tagliolo per poi modificare la tessera numerose volte,
rifinendone i bordi o, se necessario, scheggiandone la superficie, collocandola
in favore di luce o, nei confronti di quest’ultima, in contrasto, pensando alla
giustapposizione tra le tessere e, tessera dopo tessera, immaginando il
prosieguo della difficilissima opera di frantumazione della figura, di
separazione dei colori, di realizzazione di un’opera che – raro procedimento
quello del mosaico - diventa se stessa solo passando attraverso una totale
decostruzione non solo teorica ma anche concreta.
Mentre
Luciano soffriva, comunque, i personaggi prendevano forma e ciascuno di loro
acquisiva una speciale personalità. Il mosaico ridava loro una nuova vita e
questa volta erano tutti assieme, uno di fronte all’altro e avrebbero potuto
unire le loro voci, avrebbero potuto cantare, raccontare dei loro giorni ma
anche indicare la direzione ai viandanti che, come noi, avviliti e
disorientati, percorrono con gli occhi socchiusi le tortuosissime strade del
nostro tempo.
Paolo Coretti
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Jože
Ciuha, non è
solo un pittore ma anche un grafico, un mosaicista ed un letterato. Nel 1950 si
è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Lubiana e poi ha ha viaggiato molto:
in Macedonia, in oriente dove ha
studiato arte e filosofia buddista all'università di Rangoon, in Sud America
dove ha studiato le antiche civiltà indios. Ora vive tra Parigi e la sua Lubiana.
Luciano Petris nel 1970 si è diplomato a
Splimbergo nel 1970 presso la Scuola Mosaicisti del Friuli e poi ha iniziato a
lovorare come mosaicista presso l’azienda Bisazza a Splimbergo (PN). Nel 1980
ha aperto uno studio a Codroipo. Collabora con artisti di fama internazionale,
come l’austriaco Christian Ludwing Attersee e, da più di trent’anni, con il
maestro sloveno Jože Ciuha.
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LA MEDAGLIA
Nel senso moderno la medaglia
(derivazione dal latino”metalla”) indica un pezzo di metallo, solitamente di
forma rotonda, coniato o fuso, commemorante un personaggio e\o un avvenimento.
La nostra medaglia vuole far
memoria sia della Persona di D. M. Turoldo come della nascita del parco a lui
dedicato.
E' realizzata nei due versi dal
medaglista Piero Monassi di cui è largamente nota la sua professionalità per la
puntigliosa creatività riproduttiva di figure e di ornato.
Sul recto l'immagine di
D.M. Turoldo, pur consegnata a delle semplici linee incisive, è memoria
efficace del suo sguardo attento ed interpellante.
Nel verso sono
valorizzate con assoluta nitidezza le due grandi ed originarie pietre, metafore
possenti dell'identità e del vissuto testimoniale di D. M. Turoldo.
Il mosaico posto al centro è
ancora una traduzione simbolica dell'evento-storia dove lo scontro tra l'umano
e l'inumano porta i segni del sangue ed i colori di un possibile riscatto.
Le scritte, rigorosamente turoldiane,
sono la sua voce rivelatrice e stimolano la nostra responsabilità.
Nicola
Borgo
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PIERO MONASSI
Buia
(UD) _ 1934
MEDAGLISTA INCISORE
Piero Monassi, è diventato incisore
per caso dopo che fu chiamato a Roma dallo zio Guerrino Mattia Monassi per
aiutarlo a rifinire una serie di
medaglie da consegnare con urgenza. Piero ebbe così modo di mostrare le sue
capacità artistiche. Si è iscritto alla Scuola dell'Arte della Medaglia presso
la Zecca di Stato dove si è diplomato come medaglista-incisore
ed ha completato gli studi all'Accademia di Brera a Milano, dove si era
trasferito per lavorare e dove vive e
lavora ancor oggi. Tra le sue opere più significative si ricordano le serie: Castelli Friulani e
The genius of Michelangiolo.
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FONTI
POESIE
I brani citati, di D.M. Turoldo,
sono tratti da:
- “O sensi miei … _ Poesie 1948-1988 ”_ BUR 1997
- “Canti ultimi ”_ Garzanti 1992
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Grafica
Giorgio
Architetto Ganis
Stampato nel mese di giugno 2014
Tipografia
Pellegrini il Cerchio _ Udine
tippellegrini@libero.it
Coderno
di Sedegliano (UD) _ Piazza Cavour 4 _
ilridotto.blogspot.it
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