domenica 8 giugno 2014

8 giu 14 _ 3 - IL TESTO DEL LIBRO SUI 5 EMERITI


In occasione della realizzazione del mosaico dedicato ai 5 emeriti  della Sedegliano del 1900 è  stato pubblicato un libro.  
Pubblichiamo qui solo i testi, scritti da Nicola Borgo e da sei studiosi friulani.

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PIETRE VIVE E NON IMMEMORI
CINQUE EMERITI DELLA SEDEGLIANO DEL 1900

A cura di Giorgio Ganis
 
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 INDICE

  1 _ IL PARCO DAVID M. TUROLDO di Nicola Borgo           
  2 _ TIZIANO TESSITORI di Gian Paolo Gri
  3 _ FEDERICO DE ROCCO di Luciano Perissinotto
  4 _ PLINIO CLABASSI di Raffaella Beano
  5 _ ANGELO MICHELE PITTANA di Roberto lacovissi
  6 _ GILBERTO PRESSACCO di Mario Banelli
  7 _ IL MOSAICO DI JOŽE CIUHA di Nicola Borgo
  8 _ JOŽE CIUHA & LUCIANO PETRIS di Paolo Coretti
  9 _ LA MEDAGLIA di Nicola Borgo
 10 _ PIERO MONASSI
 11 _ FONTI

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IL PARCO DAVID M. TUROLDO

Il parco D.M. Turoldo s’inserisce nella continuità paesaggistica dell’ambiente in mezzo a terreni coltivati ad ortaggi e ad altri prodotti tradizionali con prevalenza del mais. A nord, sullo sfondo, si può ammirare la catena delle montagne friulane; esse suggeriscono un fondo maestoso di possente bellezza e di scorci singolari soprattutto quando la varietà delle stagioni le arricchisce di chiaroscuri cangianti e di luminosità abbaglianti. L’uniformità della pianura è quasi riscattata da questo anfiteatro che incanta e invita a contemplare.
Turoldo descrive questa sua esperienza di Coderno nella sua poesia e nei suoi saggi, con accenti emozionanti.
Mi è parso doveroso far rivivere la sua figura dedicando a lui un angolo di quei campi che supportavano la civiltà contadina di cui lui nutriva una appassionata nostalgia perché capace di generare un Friuli e un popolo severamente operativo, sobrio, dignitoso, custode di valori e di comunione solidale.
Il parco ospita delle metafore che evidenziano simbolicamente la sua persona, le sue scelte, l’attualità del suo messaggio.
La maestà originaria delle pietre megalitiche e la loro singolare provocazione si accompagnano a delle scritte, presenti nella sue poesie, che sintetizzano la sua identità (“Libero e fedele”), chiarificano l’impegno prevalente del suo vissuto (“Voce di chi non ha voce”), precisano come il mistero di Dio, ospite della sua interiorità, ispiri ed inviti a concretizzare un abbraccio universale fra tutti gli uomini (“Ho fatto del mio cuore la Tua dimora nell’abbraccio del fratello di qualsiasi colore”), a conoscere per contemplare piuttosto che possedere. E’ nella contemplazione che muoiono gli stimoli della violenza e sorgono i germogli dell’unità.
Il parco ha così non solo una funzione paesaggistica, ma richiama ciascun visitatore alla riflessione, alla responsabilità, a decisioni operative, ad un quotidiano il più possibile costruito su gesti di comunione aperti ad un futuro alternativo alla pesantezza del presente.
Le istituzioni come la famiglia e la scuola nonché il paese, comunità in cui si vive, sono particolarmente decisive nel favorire una sensibilità capace di condivisione.
In una prospettiva che tiene conto dell’ambiente, che in qualche modo ci contiene, mi è parso importante fare posto in una porzione di terreno a persone che, nate nei paesi del nostro Comune, hanno lasciato risultati stimolanti, suscettibili di ulteriore sviluppo, nei diversi campi operativi socio-economici, storici, letterari, artistici.
Essi in qualche modo sono turoldiani, appartengono a quel patrimonio di valori che Turoldo ha testimoniato e che si ritengono necessari anche per il tempo presente.
Essi sono un segno della vitalità della Comunità civile e religiosa del Sedeglianese.
Questi ambiti, spesso di ampi orizzonti, ripresi, approfonditi, rivisitati nella loro potenzialità attuativa possono generare specifici gruppi di studio ed offrire occasioni di creatività operativa nei nostri paesi coinvolgendo soprattutto le generazioni che crescono e che tendono ad abbandonare il luogo d’origine per residenze reputate più rispondenti al mondo contemporaneo.
Il parco così concepito e vissuto può essere un riferimento che permette alle piccole comunità una continuità qualitativa.

Nicola Borgo

E’ TEMPO, AMICO

Tempo è di unire le voci,
di fonderle insieme
e ci salvi la Bellezza.

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...
Io voglio sapere
se l'uomo cresce
se c'è un altro avvenire
se la scienza non sia la morte
e la sua macchina non sia la nostra
bara d'acciaio.
...

TIZIANO TESSITORI
Sedegliano (UD) _ 13 gennaio 1895
Udine _ 19 aprile 1973
AVVOCATO  POLITICO  STORICO


Quando Tiziano Tessitori nasce, nel 1895, i gravi problemi dell'ltalia postunitaria investono ormai in maniera drammatica anche i paesi friulani, in particolare quelli aridi e poveri (allora) dell'area settentrionale del mandamento di Codroipo.
Tessitori sperimenta presto i riflessi del centralismo statale e l'esosità del sistema di tassazione che colpiva la piccola proprietà, la mancanza di interventi capaci di incidere sulle condizioni delle classi popolari, i riflessi della prima industrializzazione che in Friuli significò soprattutto sfruttamento della manodopera femminile nel settore tessile, la conflittualità sempre più accentuata fra grandi proprietari agrari e coloni (braccianti e mezzadri), il pauperismo diffuso, un'emigrazione che si andava trasformando in emorragia demografica.
Anche Sedegliano stava sperimentando nel suo piccolo il conflitto fra stato e chiesa, fra una classe dirigente liberale anticlericale, sempre più conservatrice - il sindaco Bernardino Berghinz - e un clero locale  - il parroco don Antonio Sbaiz - che si metteva alla testa di un rinnovato impegno del mondo cattolico sul piano sociale e politico, superando anche le diffidenze della gerarchia, vicino a una popolazione ancorata in maniera forte alla tradizione
cattolica, non conquistata dal socialismo che avanzava in altre aree come movimento di massa.
In questo contesto Tessitori matura la sua esperienza culturale, il profilo della sua religiosità, il suo impegno sociale e politico. L'arco della sua biografia diventa presto riflesso interessante dei processi di trasformazione del mondo cattolico in Friuli, con le sue coerenze profonde, le contraddizioni, i suoi conflitti esterni e interni.
Entra bambino in seminario e lì si forma negli anni in cui il nuovo papato di Pio X, appoggiato dall'ala più tradizionalista del mondo cattolico, con l'accusa di modernismo stronca anche a Udine i fermenti del rinnovamento culturale coltivato da alcuni giovani insegnanti del seminario. Con gli stimatissimi don Giuseppe Ellero e mons. Pio Paschini, conosciuti nei giorni dell'amarezza e del compromesso cui furono costretti dalla gerarchia, Tessitori resta in rapporti cordali di stima, amicizia e collaborazione.
Nel 1915, con l'entrata in guerra dell'Italia, abbandona il seminario e viene richiamato alle armi. Presta servizio presso Ia sezione di Gemona del Tribunale militare. Esce dall'esercito, giovane ufficiale, nel 1919. Già segnalatosi come collaboratore attivo della stampa cattolica, viene cooptato dal gruppo che sta consolidando il movimento politico dei cattolici, in contrapposizione al vecchio partito liberale della borghesia e al nuovo partito socialista, radicando anche in Friuli il neonato Partito popolare e il movimento delle Leghe bianche. Nel panorama desolante del Friuli sconvolto dalla Grande Guerra, con l'economia distrutta e le tensioni sociali sempre più acute, Tessitori - oratore e giornalista efficace - assume presto, in un clima politico incandescente, responsabilità organizzative di primo piano nel movimento cooperativo e sindacale cattolico, facendosi portavoce e leader delle rivendicazioni del mondo contadino a favore di una riforma profonda dei patti agrari; diventa presidente dell'Unione provinciale del lavoro. Nelle elezioni del 1921, a 26 anni, viene eletto deputato nel Partito popolare di don Sturzo, ma non può entrare in Parlamento a causa della mancata riforma della vecchia legge elettorale che poneva la soglia di eleggibilità a 30 anni.
Il clima sociale sempre più teso e i moti di protesta suscitano allarme e provocano una forte reazione. Si delinea in Italia e in Friuli l'alleanza fra il fronte della grande proprietà agraria e del capitalismo industriale e il movimento dei fasci che ha il suo terreno di coltura, anche violento, nell'insoddisfazione dei reduci. Anche nel mondo cattolico si fa evidente la frattura fra la cosiddetta «ala sindacale» , vicina ai bisogni del mondo contadino più povero, e l'ala moderata. Lo stesso Partito popolare si divide fra i fautori dell'alleanza con il movimento socialista e i sostenitori invece della collaborazione con il partito fascista. Prevale questo secondo fronte; ha il sostegno della curia udinese e del vescovo mons. Anastasio Rossi, in lineacon la politica della curia romana poco interessata ai problemi sociali, molto di più a cercare alleanze per risolvere il conflitto istituzionale fra Vaticano e stato italiano. È la linea di avvicinamento della chiesa ufficiale al fascismo: porterà alla liquidazione del Partito popolare e al Concordato del 1929.
Tessitori è nella morsa di questo conflitto. Nel 1923 si allinea alla posizione della curia udinese, si dimette dal Partito popolare, appoggia la scelta di alleanza con il partito fascista, entra nel consiglio della nuova amministrazione provinciale di Udine che si costituisce inglobando Gorizia e il territorio goriziano. Ma il suo passato d'impegno a fianco del movimento di rivendicazione dei contadini non convince la nuova classe dirigente, e nel 1924 Tessitori abbandona l'attività politica. Sono anni di lavoro più defilato: la laurea, l'apertura dello  studio di avvocato penalista a Udine, la cura della professione; l'iniziativa interna al mondo cattolico, dopo l'arrivo di mons. Nogara soprattutto, nell'organizzazione dell'Azione cattolica e del movimento dei laureati cattolici; la ricerca storica, le conferenze, l'attività giornalistica e letteraria dedicata in particolare, sulla scia dell'amato don Ellero, alla rievocazione della prima cristianità.
L'impegno politico riemerge nell'immediato dopoguerra. Nell'estate del 1945, riprendendo un'ispirazione presente nel primo Partito popolare, fonda e anima l'Associazione per l'autonomia del Friuli. Coagula intorno a sé, anche in contrasto con i partiti della nuova Italia presenti nel Comitato di liberazione nazionale (la Democrazia cristiana, il partito comunista, quello socialista; non quello repubblicano, legato invece tradizionalmente all'idea federalista di stato), un vivace movimento intellettuale interessato a un modello non centralistico di stato, fondato su una larga autonomia amministrativa e legislativa delle regioni e al riconoscimento anche sul piano politico delle peculiarità storiche, culturali, geografiche, etnolinguistiche del Friuli. Il primo obiettivo, accanto alla valorizzazione di queste specificità, è il riconoscimento del Friuli come regione autonoma, non inglobata dentro il generico "Veneto" o "Triveneto" dell'età precedente. Il dibattito è forte, l'Associazione diventa Movimento popolare friulano per l'autonomia regionale, intenso è il lavoro per erodere l'atteggiamento di rifiuto dei partiti maggiori in Friuli e a Roma, dominati da preoccupazioni di politica internazionale riferite alla delicata questione del confine orientale, dei rapporti fra Italia e Jugoslavia, al problema di Trieste e Istria.
Nelle elezioni del 1946 Tessitori viene eletto deputato nelle file della Democrazia cristiana. Avvia nell'ambito della Costituente la battaglia autonomistica per l'inserimento del Friuli nell'elenco delle nuove regioni e in quello delle regioni a statuto  speciale,  in particolare.  Il  peso  della   questione
internazionale relativa al confine orientale e allo status di Trieste, la situazione sempre più tesa che sta portando all'esodo della popolazione italiana di Istria e Dalmazia, obbligano Tessitori al compromesso che vede l'aggregazione al Friuli dei territori della cosiddetta "zona A". Il 27 giugno 1947 l'Assemblea costituente approva l'art. 108: nella Carta costituzionale della nuova Italia il Friuli-Venezia Giulia è regione a statuto speciale. Battaglia non conclusa: sarà effettivamente e operativamente tale solo nel 1964.
Figura prestigiosa del mondo politico cattolico, l'attività parlamentare non resta però l'unico campo d'impegno di Tessitori - si vedano i Discorsi parlamentari editi nel 1967 - nell'ultima parte della vita. Negli anni Sessanta trova esito editoriale definitivo anche la sua attività di ricerca sulla storia religiosa del primissimo cristianesimo, riletta alla luce delle sue competenze giuridiche, e sulla storia politica e delle idee in Friuli; in particolare: Cristo: processo, condanna, resurrezione (1963) e San Paolo (1969); la Storia del movimento cattolico in Friuli: 1858-1917 (1963), e II Friuli nel 1866, Uomini e problemi (1966).

Gian Paolo Gri
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Ma del canto del corpo almeno,
della danza dei corpi in mezzo
alle vigne, Signore,
mi sia dato di renderti
particolari
castissime grazie:

cattedrale delle feste
sono le nozze, il corpo
reggia dell'amore.

FEDERICO DE ROCCO
Turrida di Sedegliano (UD) _ 2 ottobre 1918
San Vito al Tagliamento (PN) _ 27 settembre 1962
PITTORE  INCISORE  SCRITTORE

Il tracciato biografico di Federico De Rocco colloca i propri terminali geografici fra Turrida, S. Vito al Tagliamento e Venezia. Nato nella frazione di Sedegliano nel 1918, nel '34 risulta iscritto al Liceo Artistico della città lagunare. Conseguito il diploma, prosegue gli studi frequentando il corso di decorazione, tenuto da Bruno Saetti, presso la locale Accademia.
Causa le interruzioni imposte dalla guerra, Federico conclude il corso accademico solo nel '46. Nello stesso anno fa già parte del corpo docente dell'Istituto statale d'Arte dei Carmini, dove assolverà compiti didattici fino al '62, anno della sua morte.
La vita di Federico De Rocco fu, quindi, breve e travagliata: breve perché si spense a soli 44 anni; travagliata perché i disagi economici della famiglia gli imposero sacrifici che non si allentarono neppure quando si trasferì a Venezia. Anzi l'impatto con la città lagunare, dorata ed artisticamente eloquente, g1i fu piuttosto disagevole sotto il profilo culturale: essa infatti si crogiolava sull’anacronistica eredità del passato, osteggiando le voci che si levavano da più parti per dare visibilità a quei cambiamenti culturali che si proponevano di correlare l'arte alla vita, soprattutto al dinamismo della modernità, e che trovavano conforto nella positività della ricerca scientifica e nell'ideologia.
La guerra '44\'45 fece momentaneamente archiviare tante domande\risposte che sarebbero giunte preziose e tonificanti per una personalità in formazione come quella di Federico. Alla guerra fecero seguitogli anni della “ricostruzione”, percepiti con sentimento di nostalgia per l'identità friulana, in cui stavano modificandosi inveterate consuetudini di lavoro e di vita comunitaria. Onesto e generoso, ma chiuso di carattere,  egli consegnava alle tele le difficoltà a far proprio un discorso emancipato dai dettami accademici e soprattutto dai dilaganti schemi ideologici. Di quegli anni ricordava con gratitudine le ricerche sul colore che il maestro Saetti condivideva solo con quegli allievi di cui aveva modo di apprezzare particolari talenti: non più il colore trasfigurante, intriso di luce dorata, proprio della pittura veneziana, ma un colore asciutto, quasi da affresco, che costruiva l'immagine e consegnava il proprio messaggio al primo piano, al dialogo diretto con la quotidianità, dialogo che rifletteva la visione essenziale e tormentata di Federico, mai disposta ad indulgere sul piano del compiacimento estetico.
Le problematiche motivanti le espressioni di più netta rottura con il passato  gli  erano  note.   Note  sì,  ma  non  lo  coinvolgevano,  quasi
fossero troppo complesse, artificiose, fuorvianti, effimere: esse lo avrebbero costretto a barattare quell'identità che sentiva essergli connaturata, fatta di onestà e sacrificio consumato per non tradire un percorso di vita che rimaneva, immutabile, a definire il suo stesso orizzonte poetico.
A Federico mancò il tempo per vivere I'epilogo del1a civiltà contadina, i cui valori sentiva congeniti: i suoi temi preferiti erano, infatti, personaggi dediti all'attività agricola o artigianale, oltre a personaggi che confermavano il suo amore per la terra d'origine.
Perciò la sua opera, inserita ai margini delle dominanti tesi contestatrici, non è adeguatamente considerata nei manuali di storia dell'arte. Il suo linguaggio riflette la probità e la sincerità – troppo limpida per i tempi moderni – di una interiorità che non riesce a condividere le ragioni delle elaborazioni estranee al modo di concepire semplice e schietto della sua natura friulana.
Onestà intellettuale che non mancò di esercitare un positivo stimolo sulla sua immaginazione e, assai probabilmente, sul suo stesso equilibrio emotivo, forgiato su una pennellata che visualizzava ciò che gli era suggerito dal cuore.
Parlare di Federico De Rocco non porta, tanto a ricordare la voce di un'artista che con tanta dignità si è espresso nell'arte pittorica quanto a considerare l'espressione di un personaggio di impervio approccio caratteriale, ma emblematico di un robusto e macerato rapporto con la storia della sua terra. Questo gli ha consentito di emanciparsi dall'anonimato con la caparbietà propria di chi sa dare un senso anche alle difficoltà della vita, trovando nell'immediatezza del disegno e nella sapidità del colore il riscontro espressivo che 1o ha portato a tradurre in arte la sua nostalgia verso un mondo in declino, ma cui era doveroso riservare una voce di intima memoria.

Luciano Perissinotto
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Oppure cantare, solamente
Cantare! dire che sei Tu
il segno sconosciuto dell cose,
questa nostra coscienza:

amore calato nei nostri amori
voce del vento, e il silenzio
che fascia le galassie,
o improvviso, rapito gemito
di fronde sul limitare
appena della selva.


PLINIO CLABASSI
Gradisca di Sedegliano (UD) _ 22 marzo 1920
San Vito al Tagliamento (PN) _ 22 ottobre 1984
CANTANTE  LIRICO

Plinio Clabassi, basso versatile, la cui voce ha affascinato, per la signorilità e l'estensione, le platee dei maggiori teatri italiani e stranieri, ha ricoperto oltre centocinquanta ruoli in un repertorio che spazia dal Sei-Settecento fino agli autori a lui contemporanei.
Il suo stile inconfondibile, evidenziato dal timbro pastoso e suadente, crea, con il gesto e l'alta figura, personaggi difficilmente eguagliabili.
Anche i genitori Michele e Rosa Masotti, insieme agli altri tre figli, amavano la musica e favorirono i suoi studi di scuola superiore. Poi, per la guerra, venne assegnato al Primo Reggimento Granatieri di Sardegna. Nel febbraio del 1941 è a Valona e sul fronte greco-albanese subisce il congelamento dei piedi. Dopo l'armistizio, Clabassi entra nella Resistenza, è tra i prigionieri nelle carceri di Via Tasso a Roma, luogo di tortura e morte. Queste esperienze ne forgiano il carattere, dandogli la forza, al termine del conflitto, di ritornare a Roma per studiare canto, supportato anche dallo zio sacerdote che ne intuisce le doti. Nella capitale si distingue in concerti nei campi dei profughi istriani, fiumani e dalmati sin dal luglio del 1945, anche al fianco di Beniamino Gigli e, due anni dopo, giunge al primo teatro importante, il Petruzzelli di Bari, interpretando il ruolo di Grenvil ne La Traviata di Giuseppe Verdi. Da qui l'ascesa è rapida: in breve lo si ritrova all'Opera di Roma, a Palermo, al Teatro San Carlo di Napoli, e in Australia, Sud Africa, Brasile, Stati Uniti e Irlanda.
Con Gigli si crea un sodalizio artistico.
Una scelta coraggiosa, la lirica, per un uomo che proviene da una provincia priva di tradizione teatrale, ma legata al fiorire di corali, come quella di Gradisca a cui Clabassi partecipa. Il Friuli è terra dalle grandi voci forse nate quando si sentiva cantare nei cortili, al rientro dai campi, nella melodia che si allontana nella sera del dì di festa, secondo le tradizioni che i nostri padri hanno coltivato con la preghiera, proprio come scriveva padre David Maria Turoldo: “il canto è novità, è speranza”.
In città, a Udine, c'era la scuola di musica, poi Conservatorio “Jacopo Tomadini” che formava ottimi insegnanti e strumentisti di valore. Contemporaneamente al Teatro Puccini si davano le operette, mentre l'Opera Nazionale Dopolavoro organizzava il “Carro di Tespi” in giro in regione. Erano anni in cui si moltiplicavano i locali da ballo e suonavano le orchestrine, mentre a livello nazionale, sin dal 1938, l'Eiar creava un programma musicale radiofonico per le scolaresche che così si avvicinavano all'opera.
Il basso di Gradisca è tra i numerosi friulani che brillano nell'universo della lirica internazionale e, limitando al raggio di pochi chilometri dal paese natio, ricordiamo tra gli altri il basso Alfredo Mariotti, il soprano Disma De Cecco, che sposerà Nicola Benois, per cinquant'anni scenografo del Teatro alla Scala di Milano.
Nel frattempo in tutte le case c'è la radio e muove i primi passi la televisione, così Clabassi collabora con la Rai, favorito anche dalla sua presenza scenica, andando sugli schermi televisivi in cast straordinari, come ne Il Trovatore che registra insieme a Mario Del Monaco, Leyla Gencer, Ettore Bastianini e Fedora Barbieri, guidati dal M° Fernando Previtali. L'Ente radiofonico propone inoltre le composizioni degli autori contemporanei tra cui Franco Alfano, Alfredo Casella, Paul Hindemith, Ildebrado Pizzetti, Licinio Refice, Ottorino Respighi e i triestini Giulio Viozzi e Mario Zafred. Clabassi ne è sempre protagonista, dimostrando una predilezione anche per la sperimentazione musicale d'avanguardia.
Il suo portamento nobile e il tono profondo vengono notati anche dal regista Roberto Rossellini che lo fa lavorare nel film “Giovanna D'Arco al rogo”, protagonista la bellissima Ingrid Bergman.
I sistemi di registrazione audio e video, poco sviluppati, non offrono la giusta popolarità al cantante. Tuttavia esistono alcuni significativi dischi in vinile e video oggi disponibili anche in rete, di facile fruizione.
La sua vocalità è invidiata e risulta sempre intensa, passando dal genere brillante a quello drammatico, dalla canzone alla romanza e allo spiritual, preferito dai più famosi direttori
d’orchestra quali Franco Capuana, Oliviero De Fabritiis, Carlo Maria Giulini, Herbert von Karajan, Tullio Serafin e molti altri.
Sul palcoscenico del Teatro alla Scala di Milano, nel 1957, Maria Callas canta nell' Anna Bolena, con Giulietta Simionato, Nicola Rossi Lemeni e Gianni Raimondi, diretti da Gianadrea Gavazzeni, scene di Nicola Benois, regia di Luchino Visconti. Clabassi è con loro, scelto per il ruolo di Rochefort.
Nel celebre teatro milanese il basso si esibisce, ancora con la divina Callas, prima ne La forza del destino (Il marchese di Calatrava) e successivamente ne Il Pirata (Goffredo) di Vincenzo Bellini insieme a Franco Corelli ed Ettore Bastianini, con la direzione di Antonino Votto. In altra occasione il pittore Renato Guttuso, ammirato per l'interpretazione, gli dedicherà un bozzetto per il costume di scena.
Nei primi anni ’70, Clabassi ritorna al suo amato Friuli, nella natia Gradisca di Sedegliano. Qui aveva sempre mantenuto vivi i contatti con i suoi conterranei che l'avevano ascoltato in alcune occasioni, anche in un recital organizzato da don Gilberto Pressacco per la restaurata chiesa del paese, dopo l'incendio della sacrestia.
L'inaugurazione e la dedicazione del Teatro Plinio Clabassi di Sedegliano, avvenuta il 19 maggio 2012, sono un doveroso omaggio della sua terra natale e della sua gente, a un artista che non temeva confronti, amato e stimato dai colleghi, come sottolinea la cognata Lella Cuberli, soprano di fama internazionale.

Raffaella Beano
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... anche noi grandi come Dio,
come il cuore di Dio
in cui palpita ogni creatura,
una ad una,
e che tutto contiene.

Così saremo certi di non esaurirci mai.


ANGELO MICHELE PITTANA
Agnul di Spere
Sedegliano (UD) _ 22 agosto 1930
Codroipo (UD) _ 11 gennaio 2005
INGEGNERE  SCRITTORE  POETA

Cetant prime di cognossilu di persone, lu vevi cognossût par vie dai sei articui publicâts sul sfuei "Patrie dal FriûI", che si stampave a Bellinzona, in Svissare, dulà che al faseve il so mistîr di progjetist di stradis e di feroviis. Daspò, cuant che al tornà in Friùl, o scomençarin lis nestris frecuentazions prime dentri intal Moviment Friûl, e po daspò in tantis ocasions dulà che si fevelave di culture, di leterature e di lenghe dal Friûl. Al jere un om infogonât di passion pal Friûl; lui, inzignîr, om di grande sensibilitât culturâl, al veve vût un don cetant grant: chel de poesie, e une passion antant grande: chê pes traduzions, che tantis a'ndi à fatis che al è scuasit impussibil di ricuardâ. E par me, Agnul al è stât un amì particolâr, un compagn di strade e di passions comunis che o vin zuiadis fin a pôc tim che al las a stâ in cîl.
A mi mancje, e ancjemò di plui a mi mancje cumò che cetancj di lôr che a condividevin un afiet sincêr pal Friûl, a son lâts vie, e la lôr lezion di vite e di culture e riscje di restâ tal scûr. Ma i siei voi e la sô vos, chei no puès dismenteâju, come lis tantis tabaiadis che o vin fatis, e par oris, cjapâts par un sium di identitât che forsit al jere ancje masse romantic. Po lis leturis di Agnul: lui a mi mandave i siei lavôrs, ma cence domandâmi nuie, forsit dome par condividi cun me lis sôs esperiencis, ma jo no podevi fâ di mancul che butà jù cualchi articul, e lui chest lu veve simpri agrât. Jo, ogni volte o restavi smaraveât: la Semantiche dal flaut, cun la sô dediche, o torni dispès a leile, racuelte cussì meditade, cui trats za madûrs di une vene poetiche parone adimplen dal strument lenghistic che tai siei viers si slargjave a racuei mîl inceis, mîl invenzions, e dulà che za si olmave Ia strade di un impegn totâl pe rivendicazion dal dirit des minorancis di lenghe di podê fevelâ tes 1ôr lenghis, che lui al clamave la "lenghemari dai puars", ma che, ancje tes sôs tantis traduzions, e deventave une lenghe siore, cetant insiorade e a voltis parfin fatâl.
E tant al à fat, Agnul, par meti a confront, par messedâ, intun ecumenisim lenghistic, chestis lenghis, di voltâ par furlan poetis come il spagnul Neruda, i ocitans Roqueta e Manti, i romançs Peer e Famos, il catalan Raimon, il sard Fais e il basc Lertxudi, promovint une contaminazion che e à insioradis dutis chestis lenghis, e massime
il furlan; nus à fat scuvierzi un patrimoni lessicâl, ancje inovatîf, che la normalizazion atuâl e sta distudant e uniformant. Lu ricuardi ancje om di une fede gjienuine, che al à voltât "Lis mês gnots cun Qohelet" di Turoldo, e par chest lu saludi cuntun viers de "Me piçule Deide", dulà che o cjati une sperance comune: "Riduçant, o olsi a dîti, o muart, che no tu esistis".
Roberto lacovissi

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Amici, mi sento
un tino bollente
di mosto dopo
felice vendemmia:

in attesa del travaso.

Già potata è la vite
per nuova primavere.

GILBERTO PRESSACCO
Turrida di Sedegliano (UD) _ 19 settembre 1945
Udine _ 17 settembre 1997
SACERDOTE  MUSICISTA
RUSTICITAS ANTITETICA _ I cinquantadue anni della vita di Gilberto Pressacco si iscrivono nel segno di un febbrile galoppo, di una cosciente, intensa, finalizzata combustione di sé, in polare antitesi con la prima, paciosa apparenza della sua corporeità.
Nel contenere il debordo di un temperamento tumultuoso - dalle giovanili pulsioni di egalitarismo radicale fino al tratto adulto d'illuminato despotismo relazionale - , nell'urgenza di dare forma a quell'ideale sigillo da conferire alla propria terra quale legato di un'individualità speciale, assetato di senso ultimo e di ragioni essenziali e orripilato dalle banalità a tal segno che nell'inveire si concedeva provocatorie parzialità o visceralità estreme, in diuturna ricerca di una originale weltanschauung, coerente e significante, per il cui pertinace perseguimento talvolta pagò tributo in approssimazione o nel tratteggio appena soffuso, temperando razionalmente affettività e pulsioni assolute, tutto relativizzando sotto la lente del disincanto, da subito e per sempre confessò nella Resurrezione l'unico estremo argine per un redde rationem collettivo e personale.
Giovanissimo prete fu inviato a Codroipo, vi risiedette per non più di tre anni e fu (anche) codroipese, per sempre. Non gli piacque l'anima del paese, ne osteggiò il tratto ciarliero, emporiale, levantino; contestò il suo abito mercantile, quando si faceva superficiale e indifferente ai valori, si sforzò tuttavia di amarlo, come accade agli adulti nel farsi carico di rapporti ineludibili.
Nei contorni del suo vagheggiato ideal-tipo friulano rusticus, lo storico stereotipo codroipolitano non poteva che collocarsi agli antipodi. Riservò tuttavia a quel paese una fedeltà esigente, insofferente del facile consenso e delle tiepidezze perbeniste, dissacratoria, deliberatamente contraddittoria, profonda, seppure non richiesta. In ciò delineando un personale paradigma comportamentale.
Rapito dal fuoco dell'indagine onnivora e rabdomantica, pur riconoscendosi incline alla ricerca, si studiò di farsi carico del cilicio di una pastorale parrocchiale, anche come personale ancoraggio emendativo delle astrazioni e degli assoluti speculativi.
Da uomo nella Chiesa diffidò delle Opere, ne riconobbe la caducità, decrittò la loro corruttibilità e decadenza, ne rifuggì perciò la programmazione, paventando il discredito che esse inducono, alfine, sul pensiero che le ha generate.
Dell'opera di Pressacco altri hanno detto diffusamente. La verità di Gilberto, il suo fascino sta nell'arco del suo itinerario di indagine culturale ed esistenziale, eco teorica della sete   fondativo e paragenetico, in base a cui la nobiltà vera risiede nella rusticitas dell'απλοτης: irripetibile e convincente crogiolo di affabulazione etnica, chiaroveggenza culturale e politica, fascinazione umana.
Nel vivere forse un rapporto di paternità affidataria, a beneficio delle comunità cui si riferì, aderendo alla propria passione musicale, Gilberto Pressacco fondò e crebbe alcuni cori; rispondendo ad una vocazione speculativa travolgente, avviò cenacoli di riflessione teologica; travolto da una furibonda sete di conoscenza, il suo ethos contagiò, con l'esito originale dei suoi studi, commensali e uditori rapiti; riconoscendone lo scopo positivo, offrì nerbo contenutistico a sodalizi culturali e università popolari di differenti età; soddisfacendo un dovere civico, ispirò gli uomini e lo stile di progetti e forum.
Vocato in modo individuale e temperamentale al magistero e al patriarcato, costituì una Scuola, senza nome né pareti, alla quale fanno ancora riferimento molti uomini e donne che da essa trassero interattivamente ammaestramenti differenziati e personalizzati.
Le autorità decisero significativamente di intitolare a suo nome una importante biblioteca comunale e di sostenere una associazione che custodisce il suo cognome e il suo messaggio.

Mario Banelli
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Viviamo il Sogno eterno
per cui «omnis creatura ingemiscit»:
la fusione dell'Essere:
prodigio estremo della Ruah
che «cova» sulle scogliere delle origini.


IL MOSAICO DI  JOŽE CIUHA

Il parco ospita una tavolozza musiva nata dalla fantasia creativa di Jože Ciucha, pittore sloveno di fama internazionale, e realizzata dal maestro mosaicista Luciano Petris che lo accompagna con intuizioni compositive di rilievo.
Nella opera di Ciuha alcuni scorgono "un viaggio dell'anima dentro le profondità inesplorate del reale". Di fatto è una sofferta quanto non convenzionale raffigurazione tra astratto e figurale, caratterizzata da fascinazioni evocative e da febbrili investigazioni nel tentativo di cogliere un reale comunque trasfigurato.
Le persone che proponiamo come significative per il loro vissuto e la loro testimonianza possono trovare ospitalità in questa metafora musiva.
La composizione si caratterizza per la presenza in qualche modo pesante di cinque "fondi" che si frantumano positivamente in una comune convergenza. Su questi "fondi" per nulla statici, ma progettualmente dinamici, si snoda l'indicazione dei personaggi.
Essi sono colti non tanto nella singolarità riduttivamente fattuale, quanto invece in un orizzonte ideale aperto a futuri sazianti ma nel contempo sono accompagnati dalla dura  esperienza dei limiti connaturali alle possibilità umane. Desiderio di compiutezza ed esperienza dei limiti non paralizzano la volontà di mettere insieme le singole conquiste, ma stimolano efficacemente a nuove prove, superando le comuni convenzioni per un approccio alla realtà non più posseduta ma contemplata. Il mosaico è dominato quasi da un chiarore che diventa  metafora qualitativa di intensa suggestione, dove speranza e futuro sono indicazioni di un riscatto.
Ce lo ricorda padre David: "e ci salvi la Bellezza".

Nicola Borgo

Sempre sul ciglio dei due abissi
tu devi camminare e non sapere
quale seduzione,
se del Nulla o del Tutto,
ti abbatterà…

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JOŽE CIUHA
Trbovlje ( Slovenia) _  26 aprile 1924
PITTORE GRAFICO SCRITTORE

LUCIANO PETRIS
Pozzo di Codroipo (UD) _  24 marzo 1951
ARTIGIANO MOSAICISTA

Camminavano quattro o cinque passi davanti a me, sul marciapiede in cemento che conduce alla gostilna di Figovec.
A Ljubljana, quel giorno, la giornata era nuvolosa ma chiara e a me piaceva guardarli camminare in quella coda di inverno che era ancora d’argento ma che, allo stesso tempo, si era appena intiepidita.
Entrambi di corporatura asciutta, quasi minuta, così affiancati e ben distinti da quel chiarore mattutino, erano parte di un piacevole disegno da apprezzare in controluce. Colui che era più avanti negli anni, solo di poco incerto nel camminare, si aiutava con un bastone sottile e conversando, e allargando di frequente le braccia, si rivolgeva al più giovane il quale, stringendo con una mano il polso dell’altra mano e tenendole entrambe dietro la schiena, procedeva con la deferenza dell’allievo nei confronti del maestro senza piegare però il capo in segno di timidezza o per qualche forma di comprensibile sudditanza.
Eravamo appena usciti dallo studio di Jože dove un grande plexiglass, appeso al soffitto della stanza più grande e non del tutto dipinto, divideva l’aria e, dondolando, segnava il confine tra il sogno e la sua fantastica rappresentazione. E proprio lì - complice il dondolio, che libera da ogni paura - Luciano aveva lanciato il tema della nuova opera, opera che Jože avrebbe potuto immaginare, e poi dipingere sulle fragili carte, e poi ancora condividere con Luciano il quale, come mille altre volte, l’avrebbe interpretata e trasformata in mosaico perenne.
La conversazione continuò nella gostilna e io, questa volta seduto davanti a loro, ascoltavo distrattamente i loro discorsi, spesso fatti di concetti appena abbozzati, di frasi piene di incisi e alquanto disordinate, di opinioni che, da prima concordi, improvvisamente, scoppiettavano e si mostravano tra loro in contrasto. Per me, più che ascoltare, era interessante guardarli in quella fase che si avvicinava al momento della pura creatività, momento senz’altro misterioso, a tratti concitato e, di tanto in tanto, invece, interrotto da una strana e preoccupante quiete.
I due artisti erano tra loro senz’altro diversi. Jože, chiaro nell’incarnato, con i capelli bianchi elegantemente ondulati e con i tratti del volto segnati da un raro equilibrio, metteva in contrasto l’energico ed ottimistico colore ciliegia del suo maglione con il sorriso lieve e velato di malinconia delle genti che vivono tra i fiumi della Mitteleuropa. Luciano, invece, come di consueto vestito di nero, nonostante l’austerità del colore non riusciva a spegnere la puntuta ironia che si sprigionava dai suoi occhi, anch’essi neri, di carnico trapiantato da non troppo tempo nella piatta pianura friulana.
Fu dopo alcuni silenzi, trafitti da occhiate inquiete, che Jože incominciò a tracciare sul suo quaderno le figure dei cinque personaggi che avrebbe dovuto rappresentare. Rivolti uno verso l’altro. Come fossero anch’essi, come eravamo noi, attorno ad una tavola, protagonisti di un lieto convivio. E anche come se i loro sguardi fossero rivolti e, di conseguenza, attratti dallo stesso luogo, dallo stesso territorio, dallo stesso cielo nel quale campeggiava il medesimo sole. E ciascuno dei personaggi, poi, veniva rappresentato con i segni della propria arte e con le ferite ancora vivide o inascoltate della trascorsa vita. E più Jože procedeva ad incidere la carta, più la raffigurazione diventava ricca di colori e di spunti: una felice narrazione, favolistica ma anche epica. Celebrativa ma, nel contempo, piena di umanità. Una sorta di festa, insomma, di amicizia, di arte, di musica e di poesia.
Dopo qualche settimana dallo slivovitz di quel giorno (ogni volta che mi reco da Figovec, devo assaggiarne un po’) incontrai Luciano nel suo laboratorio di Codroipo. L’opera stava crescendo e Luciano, con la sua solita preoccupazione, che lo portava ad essere pensoso fino ad estraniarsi o ansioso al punto da risultare indeciso, affrontava ogni tessera del mosaico con irrinunciabile impegno, stabilendone la forma, realizzandone la sagoma con sapienti colpi di martellina sul tagliolo per poi modificare la tessera numerose volte, rifinendone i bordi o, se necessario, scheggiandone la superficie, collocandola in favore di luce o, nei confronti di quest’ultima, in contrasto, pensando alla giustapposizione tra le tessere e, tessera dopo tessera, immaginando il prosieguo della difficilissima opera di frantumazione della figura, di separazione dei colori, di realizzazione di un’opera che – raro procedimento quello del mosaico - diventa se stessa solo passando attraverso una totale decostruzione non solo teorica ma anche concreta.
Mentre Luciano soffriva, comunque, i personaggi prendevano forma e ciascuno di loro acquisiva una speciale personalità. Il mosaico ridava loro una nuova vita e questa volta erano tutti assieme, uno di fronte all’altro e avrebbero potuto unire le loro voci, avrebbero potuto cantare, raccontare dei loro giorni ma anche indicare la direzione ai viandanti che, come noi, avviliti e disorientati, percorrono con gli occhi socchiusi le tortuosissime strade del nostro tempo.
Paolo Coretti
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Jože Ciuha, non è solo un pittore ma anche un grafico, un mosaicista ed un letterato. Nel 1950 si è diplomato all'Accademia di Belle Arti di Lubiana e poi ha ha viaggiato molto: in  Macedonia, in oriente dove ha studiato arte e filosofia buddista all'università di Rangoon, in Sud America dove ha studiato le antiche civiltà indios.  Ora vive  tra Parigi e la sua Lubiana.

Luciano Petris nel 1970 si è diplomato a Splimbergo nel 1970 presso la Scuola Mosaicisti del Friuli e poi ha iniziato a lovorare come mosaicista presso l’azienda Bisazza a Splimbergo (PN). Nel 1980 ha aperto uno studio a Codroipo. Collabora con artisti di fama internazionale, come l’austriaco Christian Ludwing Attersee e, da più di trent’anni, con il maestro sloveno Jože Ciuha.
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LA MEDAGLIA

Nel senso moderno la medaglia (derivazione dal latino”metalla”) indica un pezzo di metallo, solitamente di forma rotonda, coniato o fuso, commemorante un personaggio e\o un avvenimento.
La nostra medaglia vuole far memoria sia della Persona di D. M. Turoldo come della nascita del parco a lui dedicato.
E' realizzata nei due versi dal medaglista Piero Monassi di cui è largamente nota la sua professionalità per la puntigliosa creatività riproduttiva di figure e di ornato.
Sul recto l'immagine di D.M. Turoldo, pur consegnata a delle semplici linee incisive, è memoria efficace del suo sguardo attento ed interpellante.
Nel verso sono valorizzate con assoluta nitidezza le due grandi ed originarie pietre, metafore possenti dell'identità e del vissuto testimoniale di D. M. Turoldo.
Il mosaico posto al centro è ancora una traduzione simbolica dell'evento-storia dove lo scontro tra l'umano e l'inumano porta i segni del sangue ed i colori di un possibile riscatto.
Le scritte, rigorosamente turoldiane, sono la sua voce rivelatrice e stimolano la nostra responsabilità.
Nicola Borgo
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PIERO MONASSI
Buia (UD) _ 1934
MEDAGLISTA  INCISORE

Piero Monassi, è diventato incisore per caso dopo che fu chiamato a Roma dallo zio Guerrino Mattia Monassi per aiutarlo a  rifinire una serie di medaglie da consegnare con urgenza. Piero ebbe così modo di mostrare le sue capacità artistiche. Si è iscritto alla Scuola dell'Arte della Medaglia presso la Zecca di Stato dove si è diplomato come medaglista-incisore ed ha completato gli studi all'Accademia di Brera a Milano, dove si era trasferito per lavorare e dove  vive e lavora ancor oggi. Tra le sue opere più significative si ricordano le serie: Castelli Friulani  e The genius of Michelangiolo.

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FONTI

POESIE

I brani citati, di D.M. Turoldo, sono tratti da:
- “O sensi miei … _ Poesie 1948-1988 ”_ BUR 1997
- “Canti ultimi ”_ Garzanti 1992
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Grafica
Giorgio Architetto Ganis


Stampato nel mese di giugno 2014
Tipografia Pellegrini il Cerchio _ Udine
tippellegrini@libero.it


Coderno di Sedegliano (UD) _ Piazza Cavour 4 _  ilridotto.blogspot.it

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