mercoledì 6 febbraio 2002
domenica 22 novembre 1998
La "casa natale" di padre Turoldo, ristrutturata nel 1995-96
La "casa natale" di padre Turoldo,
restaurata e ristrutturata
tra il 1995 e il 1997, nel 1998, nell'occasione del convegno annuale su padre David, fu inaugurata e consegnata alla “Associazione padre David Maria Turoldo” come sede.
Nel 1998 il poeta-ingegnere Angelo Pittana (detto Agnul di Spere) ha scritto un articolo:
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Nel 1998 il poeta-ingegnere Angelo Pittana (detto Agnul di Spere) ha scritto un articolo:
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Dal libro “L’UMILE PORTA” abbiamo tratto la cronistoria della casa.
Da: AAVV_“L’UMILE PORTA”_Sedegliano
(UD) 1998
LA CASA PATERNA DI PADRE DAVID A CODERNO DI
SEDEGLIANO
Coderno, dove padre David è nato nel 1916 è una piccola frazione
del Comune di Sedegliano a circa 20 Km. Da Udine.
La casa della sua famiglia era compresa in un cortile, tipica
organizzazione della civiltà contadina; il corpo di fabbrica in cui si
stagliava il portico di ingresso era adibito ad abitazione, mentre nel cortile,
improntato a grande semplicità ed essenzialità erano sistemate le costruzioni
ad uso rustico e agricolo.
La casa era composta da una cucina al piano terra, da due camere
da letto al primo piano e da un sottotetto, funzionante da magazzino: essa è
giunta quasi intatta fino a nostri giorni ed è stata donata dall’ultimo
proprietario al Comune di Sedegliano con lo scopo di ricordare p. David.
Il Comune, con il contributo della Regione Friuli V.G., ha
provveduto ad accorpare altri locali a quelli della famiglia Turoldo: si è
ottenuto in questo modo un nucleo significativo, indipendente dal resto del complesso
edilizio, avente una superficie di circa mq. 100 per tre piani.
Sono stati quindi eseguiti, negli anni ’95-’96, i lavori di
ristrutturazione-restauro, che hanno comportato una spesa di circa 500.000.000.
Tutto questo è potuto accadere per la determinazione di un
gruppo di amici friulani che hanno dato vita ad una Associazione culturale e di
documentazione avente per oggetto l’opera di padre David e la civiltà contadina
del Friuli…
Le linee guida del progetto e dei lavori sono state le seguenti:
dal punto di vista estetico-architettonico operare nella fedeltà alla
semplicità e “povertà” della casa Turoldo, eliminando ove possibile le
modifiche eseguite nel corso degli anni; dal punto di vista funzionale
realizzare un edificio rispondente ai due requisiti principali di conservare un
luogo di “memoria” e di realizzare spazi adatti ad un centro di documentazione
e divulgazione culturale.
A lavori ultimati credo che in gran parte gli obiettivi siano
stati raggiunti. Infatti i vani disponibili sono stati destinati ai due
suddetti requisiti come segue.
Il locale ex cucina a piano terra e la camera soprastante,
lasciate intatte e spoglie, ricorderanno la casa Turoldo di quel tempo.
Il resto della costruzione è stato ristrutturato in modo
funzionale alla destinazione di centro culturale: comprende un vano a piano
terra con ingresso indipendente (l’attuale segreteria e accoglienza), un vano
scala-servizi con ingresso dal portico centrale al piano terra, attraverso il
quale si raggiungono due vani al primo piano e un salone al sottotetto dove
potranno svolgersi le attività dell’associazione.
– dall’articolo di
Agostino Crippa
NOTE STORICHE
La consultazione dell’Archivio di Stato di Udine, in cui sono
conservati il “Catasto Napoleonico” (1832) che il “Catasto Austriaco” (1851) ha
reso ha reso possibile l’individuazione di alcune coordinate per una
ricostruzione storica dell’assetto proprietario della casa natale di p. David
Maria Turoldo…Nel luglio 1868 avviene la divisione dei beni tra fratelli dalla
quale si capisce che Pietro, nonno di fra Davide, entra in possesso di una
frazione di particella che corrisponde all’attuale casa (ora sede
dell’associazione). Stando agli atti esaminati e per quanto riguarda
l’attribuzione di una probabile data di fine costruzione del fabbricato che
include la casa di p. D.M.T., si può dedurre che questa è compresa fra il 1867
e 1870.
– dall’articolo di Valdi
De Michele
LE SCELTE TECNICHE DEL PROGETTISTA
L’edificio che comprende quella che fu l’abitazione della
famiglia di padre Davide Maria Turoldo e di lui stesso negli anni dell’infanzia
è un esempio rappresentativo di un tipo edilizio ampiamente diffuso nella
pianura friulana, che si inserisce in un contesto insediativo altrettanto
tipico qual è il sistema delle corti rurali”. I materiali sono quelli comuni
all’edilizia rurale tradizionale dell’alta pianura friulana: per le murature,
ciottoli ricavati dagli aridi terreni circostanti misti a scaglie di cotto di
risulta, legname sommariamente squadrato per i solai e per la struttura del
tetto, pianelle e coppi laterizi per il tetto, mattoni per le rifiniture degli
stipiti di portoni e finestre; l’intonaco è usato con molta parsimonia
soprattutto per gli interni; la muratura in ciottoli a vista, dettata da
ragioni di economia, assume nella sua essenzialità e sincerità strutturale, un
valore espressivo particolarmente incisivo.
L’operazione di recupero dell’edificio si presentava piuttosto
complessa, dovendosi tenere in considerazione esigenze in certa misura
contraddittorie. Da Un lato c’era l’esigenza di una conservazione allo stato
presente, o meglio allo stato ipotetico relativo all’epoca in cui p. Turoldo vi
aveva vissuto, o quanto meno della parte da lui abitata; dall’altro la volontà
di utilizzare l’immobile quale sede di attività culturali ispirate al frate,
con conseguente necessità introdurre una certa quota di elementi innovativi.
Scartata l’ipotesi di procedere a un totale restauro strettamente conservativo
dell’edificio riferito ad un preciso momento storico, d’altra parte
difficilmente identificabile, che non avrebbe consentito la sua agibilità per i
fini desiderati, si optò per la necessità di far coesistere comunque le due
esigenze. Quindi nel totale rispetto dell’impianto strutturale originario sono
state introdotte alcune modifiche distributive dettate dalla nuova funzione che
l’edificio assumeva. Nelle stanze dell’abitazione di p. Davide sono stati
conservati gli intonaci originali ed i serramenti di porte e finestre
(accuratamente restaurati) e non sono stati introdotti impianti all’infuori di
una presa di corrente per ciascuna stanza. Per quanto riguarda invece il resto
dell’edificio gli intonaci interni sono stati rinnovati, i serramenti sono
stati rifatti nelle forme tradizionali ma con caratteristiche tecniche atte a
garantire un adeguato livello di funzionalità, sono stati inoltre introdotti
gli impianti tecnici indispensabili. I pavimenti sono stati tutti rifatti, in
cotto per il piano terreno, in legno per i piani superiori; il rifacimento è
stato esteso anche all’abitazione Turoldo per il pessimo stato di conservazione
dei pavimenti esistenti. Anche l’area esterna, comprendente il vicolo cieco di
accesso, ha avuto una dignitosa e sobria sistemazione con acciottolato, corsie
in semplici piastre cementizie e muretto di recinzione sul lato ovest in
ciottoli e mattoni.
– dall’articolo di Enzo Pascolo
BREVE CRONISTORIA DA CODERNO
Anno 1989
In uno degli ultimi suoi ritorni in Friuli, giunto alla casa
paterna e trovata la porta aperta, p. David si è sentito invadere dai ricordi
ed è scoppiato in pianto. Ecco nascere allora i primi versi della poesia
“Ancora infatti l’umile porta…” che inedita leggerà lui stesso a Sedegliano
l’anno dopo nel suo 50° dell’ordinazione sacerdotale. Ecco che quella
commozione suggerì a Silvano Sottile e Luciano Beano, con alcuni altri amici,
di acquistare l’edificio e quindi donarglielo. Si giunse allora ad una promessa
di vendita con gli allora proprietari Aldo Marigo e Ottorino Turoldo.
Successivamente la proposta di acquisto venne fatta propria dal Sindaco di
Sedegliano e dal Presidente della Provincia di Udine.
Anno 1990
Padre Davide è a Sedegliano per festeggiare il suo 50° anno di
sacerdozio, e in quell’occasione, inaspettatamente, Aldo Marigo comunica al
Sindaco di voler donare la sua parte della casa natale al Comune di Sedegliano.
L’annuncio pubblico di questa intenzione fu fatto proprio in presenza di David
Maria che esclamò: “Ma io non sono mai partito… da questa terra attingo linfa”.
Anno 1991
Anche la comunità natia di Coderno vuole celebrare nella sua
chiesa p. David, proprio in concomitanza del “rinnovo della chiesa”
parrocchiale (come scrisse al Sindaco in una sua lettera) alla quale i fratelli
Turoldo doneranno un nuovo altare “coram populo”. In questo anno la delibera del
Consiglio Comunale accetta la donazione e il 24 dicembre 1991 viene stipulato
l’atto ufficiale notarile.
Anno 1993
La Regione Friuli V.G. promulga una legge di finanziamento,
presentata dal consigliere Dominici, (e richiesto dall’Amministrazione Comunale
di Sedegliano) per interventi riguardanti la casa natale di p. David Maria
Turoldo ed relativo compendio immobiliare, nonché l’utilizzo dell’edificio per
finalità culturali. L’arch. Enzo Pascolo e l’ing. Ivano Rabassi furono
incaricati dei progetti di recupero dello stabile, con la collaborazione per
l’approvazione della Soprintendenza alle Belle Arti di Udine.
Anno 1994
Viene approvato il progetto con la collaborazione
dell’associazione Turoldo che tramite gli arch. De Michieli e Asquini
definiscono i criteri del recupero: “una parte di casa Turoldo deve rimanere
integra, quale memoria storica del vissuto, ed il rimanente compendio, pur
recuperato nella sua integrità originale dove possibile, deve essere usato come
centro culturale”. Viene quindi erogato il contributo regionale e l’
Amministrazione Comunale di Sedegliano acquista l’intero fabbricato e indice la
gara per i lavori.
Anno 1995
Vengono iniziati i lavori da parte dell’impresa Del Bianco.
L’anno dopo viene sistemata l’area antistante alla casa Turoldo.
Anno 1997
Nell’occasione del convegno annuale su p. David, viene
inaugurato l’edificio e consegnato all’associazione p. David Maria Turoldo come
sede della stessa.
– dall’articolo di Francesco Pozzo
LA
CASA
Una casa friulana di fine ottocento spartita da un grande
portone che la attraversa e la divide quasi in parti uguali approdando ad un
cortile interno che la raccoglie aprendola al sole di mezzogiorno; frutto di un
gran numero di sassi di fiume ordinati da schegge di coppi imbevute di malta;
ravvivata discretamente da lineari finestre poste quasi a raddolcire la
solidità della massa muraria, a rischiarare gli interni avidi di luce; fasciata
da scale esterne con poggioli di legno, necessario accesso alle camere, più che
ornamento, luogo di maturazione di alcuni fra i pochi e sudati raccolti che
trovavano collocazione nel solaio; arricchita nel portico da porte d’accesso
segnate da sobri ornamenti di mattone nell'arco e negli stipiti; parcellizzata
in povere e anguste stanzette ricavate dalle divisioni familiari nel
susseguirsi delle generazioni sempre più povere e ricche di figli: questa la
casa dove è nato David Turoldo nella sua originaria struttura e riproposta a
noi nel ripristino a “memoria e centro culturale”.
Ambiente, forme, materiali hanno lasciato in Turoldo una traccia
indelebile e sono diventati simboli, archetipi, memorie e trasfigurazioni di un
modo d’essere, di pensare, di vivere.
I sassi prima di tutto: questo cumolo informe che “ordinato”
diventa parete, casa, realtà che ospita, che raccoglie, che protegge. Sparsi,
diversi, estranei, se raccolti, se messi insieme ordinatamente diventano
“casa”, realtà condivisa e che condivide affetti, gioie, fatiche, speranze.
Il sasso diventa idealmente “pietra” quando una connotazione
antropologica la usa come metafora di una modalità d’esistenza: “forte come una
pietra”, “solido come una pietra”; le stesse parole possono essere una pietra:
scarne, essenziali, efficaci, dirompenti; una ulteriore simbiosi può accomunare
uomini, parole, pietre. Il portone con il suo sottoportico, questo grande
“foro” che dice approdo e apertura, che accoglie, mette insieme, prepara
coralmente ad una sosta corale, ad uno scambio, ad una crescita partecipe e
condivisa.
Il portone a cui si arriva, che attraversa il corpo del
fabbricato, che immette in una corte può indicare un itinerario, un percorso
che nelle accezioni più compiute può evocare un pellegrinaggio che è esodo e
promessa insieme.
Armonia tra persone e creature viventi, che vivono come ospiti
che si servono, nel rispetto vicendevole.
venerdì 5 febbraio 1993
5 febbraio 1993 _ Articolo dello scrittore Angelo Pittana su padre Turoldo a un anno dalla morte
5 febbraio 1993 _ A un anno dalla morte di padre Turoldo lo scrittore Angelo Pittana, ingegnere in Svizzera, scrive un articolo sul "Giornale del popolo" di Lugano, nel Canton Ticino:
venerdì 1 novembre 1991
1 novembre 1991 _ Padre David intervistato dal Gazzettino
Intervista a Padre Davide Maria Turoldo
sul dolore, la malattia, la sofferenza e la morte
di Roberto Vinco
IL POETA DI DIO SFIDA LA MORTE
(L’intervista è stata pubblicata sul giornale «Il Gazzettino» – edizione di Verona «Il nuovo Veronese» del 1 novembre 1991)
Gli avevano dato non più di sei mesi di vita. Lo avevano operato ad un tumore all’intestino. Dal punto di vista medico non c’era nessuna speranza. Dopo tre anni, padre David Maria Turoldo, il poeta di Dio, il monaco ribelle ma fedele, lo abbiamo risentito qualche settimana fa (settembre 1991, vedi foto) ancora una volta in Arena con i «Beati i costruttori di pace» a cantare la sua speranza di pace e il suo amore per l’uomo. Dopo ben tre operazioni, il corpo smagrito, visibilmente stremato dalla malattia, non ha ancora perso il suo vigore e la sua straordinaria forza e carica umana. Ha vissuto sempre “fuori delle mura”, sempre in diaspora, sempre in cammino… in conflitto con il potere, con le istituzioni, con la Chiesa.
La vita di Turoldo è insieme un canto e un pianto. Il canto di chi crede e il pianto di chi soffre. A Verona padre David ha molti amici. Come monaco servita è stato ospite per alcuni mesi della comunità dei Servi di Maria della chiesa cittadina di Santa Maria della Scala. Proprio con un gruppo di amici veronesi siamo andati a trovarlo nella sua meravigliosa abbazia di Sant’Egidio a Sotto il Monte in provincia di Bergamo. É visibilmente stanco, ma quando incontra gli amici, quasi si ricarica, recupera tutte le sue antiche forze, ritrova tutto il suo profondo spirito profetico. Della sua malattia parla con serenità.
Il suo tumore lo chiama «Il drago che si è insediato nel ventre». Con il cancro ha imparato a lottare e a convivere. «La mia malattia – ci dice – è un’esperienza consapevole, giocata a carte scoperte. Alle pietose menzogne dei medici ho preferito la verità. In un primo momento è tremendo, è crudele. Ma accettare il cancro è già metterlo a disagio, sfidarlo». Da tre anni sfida con il canto e la poesia anche la morte, accettata con serenità come l’altra faccia della vita.
«Per me la morte è sempre stata come una fessura attraverso cui guardare i colori della vita, apprezzarne i valori. La morte è una presenza positiva, fa apprezzare meglio il tempo, fa giudicare meglio le cose. Ogni mattina dico, se questo è il mio ultimo giorno non posso perderlo. Vivo ogni giorno, non come fosse l’ultimo, ma il primo. Penso che non ci sia nemmeno un di qua e un di là, ma semplicemente un prima e un dopo. Una continuità. Questo certamente è il senso misterioso della nostra fede, ma non è assolutamente un discorso che si fa soltanto per chi ha fede. Il discorso sulla continuità della vita, si può farlo anche con chi non crede, con chi non ha fede. Non è un discorso consolatorio, ma di constatazione. Io posso anche dire «non so come sarà dopo», ma nessuno mi può dire che non ci sia».
Il tema di tutta la sua poesia è Dio. Un Dio che non è ricerca astratta, ma ricerca che si coniuga con la vita, con la realtà umana di tutti i giorni. Un Dio che non ti dà sicurezze e certezze, ma la speranza di guardare sempre avanti con coraggio. Un Dio che non è lì per controllarti e punirti, ma un Dio che ti è vicino, ti capisce, ti ascolta, ti ama.
– Ma come si può conciliare questo Dio con la sofferenza, con la malattia?
«Io penso che il dolore, la malattia, la morte, non siano soltanto il dramma dell’uomo, ma anche il dramma di Dio».
– In che senso?
«Nel senso che il limite di Dio è la libertà dell’uomo. Mi spiego. Dio ha un amore tale per l’uomo, per la sua creatura, che non può non lasciarla libera. Se accettiamo un Dio che vuole che l’ordine della creazione e della storia abbiano una loro valenza autonoma; se Dio vuole che gli uomini siano liberi: liberi di usare e di abusare, liberi di fare il bene o di fare il male, Dio, per primo, deve rispettare questa autonomia e questa libertà. Perciò se tu vuoi che per ogni caso Dio intervenga, tu annulli quello che si chiama il gioco delle cause seconde, gli spazi per la libertà umana».
– Ma allora, secondo questa logica, a Dio non si può nemmeno chiedere la guarigione.
«Io non penso che sia giusto pregare perché Dio mi guarisca. Proprio perché è impossibile che Dio abbia a che fare con la mia malattia. É impensabile che il Dio di Gesù Cristo voglia il cancro. Se fosse stato veramente Dio a mandarmi il tumore, come potrei curarmi? Dovrei andare contro la volontà di Dio».
– Allora sbagliano quelli che pregano perché Dio li guarisca?
«Li posso capire, ma solo a livello umano. Lo posso ammettere come sfogo necessario, come rimedio all’angoscia. É stata anche per me una scoperta di questi anni di malattia, una scoperta terribile, ma consolante».
– E nei momenti di sconforto, di disperazione, quando si rivolge a Dio, cosa gli dice, cosa gli chiede?
«Io non prego perché Dio intervenga. Chiedo la forza di capire, di accettare, di sperare. Io prego perché Dio mi dia la forza di sopportare il dolore e di far fronte anche alla morte con la stessa forza di Cristo. Io non prego perché cambi Dio, io prego per caricarmi di Dio e possibilmente cambiare io stesso, cioè noi, tutti insieme, le cose. Infatti se, diversamente, Dio dovesse intervenire, perché dovrebbe intervenire solo per me, guarire solo me, e non guarire il bambino handicappato, il fratello che magari è in uno stato di sofferenza e di disperazione peggiore del mio? Perché Dio dovrebbe fare queste preferenze? Perché dire: Dio mi ha voluto bene, il cancro non ha colpito me ma il mio vicino! E allora: era un Dio che non voleva bene al mio vicino? E se Dio intervenisse per tutti e sempre, non sarebbe un por fine al libero gioco delle forze e dell’ordine della creazione? Per questo per me Dio non è mai colpevole. Egli non può e non deve intervenire. Diversamente, se potendo non intervenisse, sarebbe un Dio che si diverte davanti a troppe sofferenze incredibili e inammissibili. Ecco perché, come dicevo prima, il dramma della malattia, della sofferenza e della morte è anche il dramma di Dio».
– Di fronte al dolore quindi, anche per un credente, ci può essere solo rassegnazione?
«Non rassegnazione, ma pazienza, che è tutt’altra cosa. Per il credente l’unica risposta al dolore e alla morte è la resurrezione di Cristo. La sua resurrezione infatti è la vendetta di Dio sul male del mondo. Quindi la risposta migliore è sempre quella di Cristo, che alla fine dice: «Padre, nelle tue meni rimetto il mio spirito». Una risposta però da non dire solo alla fine, ma dirla sempre; e forse così si riuscirà ad essere perfino “beati nel pianto”».
– Spesso ci si trova di fronte ad amici colpiti da qualche malattia grave o dalla morte di qualche persona cara. Cosa si può dire in questi casi?
«Ci sono dolori per cui non esistono parole in nessun dizionario. Dolori e angosce davanti alle quali la risposta migliore è il silenzio. Di fronte a certe tragedie, a certe sofferenze non servono né filosofie, né prediche.E il rimedio migliore, dico rimedio, non risposta, sarà semplicemente la tua partecipazione di amico, la tua presenza amorosa, il tuo «essere con» la persona sofferente, l’ammalato. La migliore risposta pratica quindi è «l’essere con», è il silenzio, l’accettazione per quanto possibile. Anche se questo non deve significare rinuncia a lottare, a cercare ogni sforzo per guarire. L’importante è non darsi mai per vinti e ricominciare ogni volta da capo».
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